In evidenza

La Grande Schifezza

La bruttezza della politica italiana in questo momento sta tutta nella sua fragilità.

E’ probabile che domani si arrivi ad un avvicendamento alla guida del Governo, basato sul postulato ontologico che “Matteo ha una marcia in più“. Tra le giustificazioni non si può più annoverare neanche il rodato “ce lo chiede l’Europa” che in passato decretò la fine del governo Berlusconi e l’inizio della mesta esperienza Monti, ma che comunque aveva nel tormentone spread una scusa piuttosto plausibile.

Oggi invece siamo di fronte ad una staffetta – che poi perché staffetta dato quello che sgancia il testimone “muore”? – che si compone come mera sostituzione del personale politico dell’esecutivo. In questi mesi non ho mai capito cosa Renzi rimproverasse a Letta: ok il governo si è fatto notare sostanzialmente per l’immobilismo, ma non mi pare che dopo aver vinto le primarie Matteo Renzi sia riuscito a supportare la sua critica all’azione di governo in maniera ficcante.

L’omicidio Letta è senza movente. Continua a leggere “La Grande Schifezza”

In evidenza

Ma davvero le Mense dei Poveri sono senza soldi?

Anche se c’è qualche seminatore di ottimismo che parla di ripresa economica dietro l’angolo – sono gli stessi che ne parlano sempre almeno dal 2000 – ieri sera ho appreso una notizia che trovo veramente allarmante.

Nel punto di Paolo Pagliaro, nel corso della trasmissione “Otto e Mezzo”, è emerso che le Mense dei Poveri sarebbero in enorme difficoltà, per via della drammatica decurtazione dei fondi PEAS (Programma europeo di aiuti alimentari agli indigenti) e della loro mancata sostituzione con un apposito fondo nazionale.

Mi pare una decisione devastante: in Europa ben 79 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, 43 milioni di queste vengono addirittura ritenute “affamate” e nella sola Italia 4 milioni di persone (ripeto 4 milioni di persone!!!) sono oggi alle prese con le difficoltà legate all’approvvigionamento di cibo. Attualmente attraverso il Banco Alimentare vengono aiutate 2 milioni di persone nel nostro Paese.

Ho cercato un po’ in rete per capire qualcosa in più di questo vero e proprio dramma sociale. Nei grandi quotidiani italiani in sostanza non se ne parla. Essì che i bisogni essenziali di 4 milioni di italiani forse sono più importanti delle zecche di Dudù piuttosto che le democristianissime schermaglie tra Letta e Renzi.

Credo invece che si debba profondere uno sforzo notevole per diffondere queste notizie tra la gente. Non mi pare che vi sia piena consapevolezza della situazione.

Se ci fosse un’attivazione generale, i mezzi di comunicazione non potrebbero continuare ad ignorare la questione e sotto pressione dell’opinione pubblica, il tema arriverebbe anche in Parlamento.

Ho visto in rete appelli di qualche mese fa, ad esempio della Comunità di Sant’Egidio. L’ho letto solo oggi. Un po’ mi sento colpevole. Comunque mi chiedo: è mai possibile che nessuno abbia rilanciato il tema.

Nel mio piccolo provo a sollevare il dibattito. E’ un’emergenza.

In evidenza

Intervento su Bossi-Fini e Diritto d’Asilo

Il mio intervento nel consiglio comunale del 17/12/2013 durante la discussione su una petizione popolare in tema di diritto d’asilo e abolizione della Bossi-Fini.

Siamo oggi chiamati a discutere di un tema decisamente complesso quale l’immigrazione, giorno in cui sono state diffuse immagini che creano forte imbarazzo sulle disinfestazioni al centro di accoglienza di Lampedusa.

Credo che sia proprio uno degli argomenti su cui la politica italiana ed europea negli ultimi anni abbia dimostrato la sua inadeguatezza.

In Italia perché non ne ha riconosciuto la complessità ed ha pensato che si potessero regolare i flussi migratori traducendo in legge quattro slogan beceri. Oltre al messaggio sbagliato si è pensato di poter semplificare un tema che semplice non è per niente. Nel 2009 tale ordinamento venne “impreziosito” dall’inumano reato di clandestinità, introdotto dal decreto sicurezza, che prevedeva il carcere per i clandestini. Provvedimento poi bocciato dalla consulta in quanto in chiara antitesi rispetto alle direttive comunitarie sui diritti della persona. Indipendentemente dal merito del provvedimento, questa parziale bocciatura del reato di clandestinità dovrebbe aprirci gli occhi rispetto al fatto che la destra al governo per 20 anni in Italia ha cercato di accontentare la pancia del suo elettorato promulgando leggi populiste, scritte così male da cozzare con l’ordinamento italiano ed europeo. “Porcellum” vi dice niente?

La logica della Bossi-Fini non è quella di frenare gli ingressi nel nostro Paese – diciamola tutta: avrebbe scontentato ampi settori produttivi – ma di sfavorire la permanenza sul suolo italiano.

Proprio l’esatto contrario di quanto prospettato dall’Unione Europea che in occasione del Consiglio di Tampere del 1999 ha fornito chiare indicazioni volte a moderare i flussi di ingresso e di concentrare gli sforzi su politiche di integrazione che assicurino ai lavoratori stranieri e alle loro famiglie piena parità di diritti e doveri rispetto agli autoctoni avendo come logico sbocco finale quello della cittadinanza per coloro che decidono di restare definitivamente.

Coloro che oggi denunciano l’invasione delle case popolari, degli ospedali e delle scuole pubbliche sono gli stessi che hanno allargato le maglie dei flussi in ingresso eliminando nel 2008 le poche risorse nazionali per le politiche di integrazione.

Oltre a legare la permanenza degli immigrati sul territorio all’ottenimento di un contratto di lavoro, la Bossi-Fini ha ridotto le possibilità di ricongiungimento familiare e di usufruire di servizi essenziali quali la sanità e l’istruzione, negando peraltro il pagamento dei contributi previdenziali che non verranno restituiti al ritorno nel paese di origine.

Con la questa legge l’immigrato non è una persona titolare di diritti e di doveri bensì un potenziale clandestino e mera forza lavoro, peraltro in una condizione di precarietà tale da rendere possibile un suo rapido scivolamento in una situazione di clandestinità.

Tutti piangiamo per via stragi del mare che hanno ridotto il Mediterraneo, il Mare Nostrum, in un enorme cimitero d’acqua: ma come ci poniamo di fronte a norme del nostro ordinamento che infliggono sanzioni a chi presta assistenza in mare? Continua a leggere “Intervento su Bossi-Fini e Diritto d’Asilo”

In evidenza

Consapevolezza

C’è stato un passaggio dell’intervista di Cuperlo a Che Tempo che Fa che mi ha sorpreso ed in cui ho trovato di colpo l’essenza del fare politica.

Riferendosi ai tagli al “Fondo per le politiche sociali”, il candidato alla segreteria PD si chiedeva se da parte di chi è chiamato ad esprimersi attraverso il voto vi sia la consapevolezza degli effetti che può provocare la propria decisione.

Ha argomentato, con grande sensibilità, pensando, seppur in uno scenario non drammatico, al caso delle ricadute sulle politiche per i disabili. Si è immedesimato in due genitori di un ragazzo colpito da handicap che di colpo vedono scomparire la possibilità che il figlio trascorra due settimane di vacanza presso centri specializzati. La leggerezza con cui si può non solo negare un po’ di sollievo a due persone, ma anche il misconoscimento dell’opera encomiabile e straordinaria svolta da queste durante l’anno.

Un passaggio di rara intensità, non solo per l’esempio, soprattutto se colta con gli occhi di chi con la politica si cimenta.

A volte mi chiedo come sia possibile che nel mondo vi siano tante difficoltà, tanta miseria, tanta devastazione a fronte di persone che prendono decisioni e che non credo possano essere tutte cattive, crudeli e malintenzionate. Ve ne saranno certo, ma mi ostino a credere che siano poche. Che non siano tutte, insomma.

Esiste però – e lo tocco con mano anche nella piccola realtà in cui mi muovo – chi non da peso alle decisioni che è chiamato a prendere. E’ un’offesa a se stesso e al proprio ruolo, oltre che agli altri.

Tranquillamente ci si fa distrarre da sigle, da nomi tecnici, da rassicurazioni mendaci. O magari non si legge, non si approfondisce. Poi però le conseguenze si sentono.

La superficialità può essere una forma di crudeltà estrema.

In evidenza

Un Sindaco a Tempo Pieno

Nelle prossime settimane sicuramente il popolo del centrosinistra cesanese avrà modo di valutare i candidati alle primarie per le idee programmatiche che presenteranno e per le squadre da cui hanno intenzione di farsi accompagnare.

Indipendentemente dai progetti che vorranno realizzare, i prossimi Sindaco e Giunta dovranno profondere grande impegno e garantire una presenza costante.

La situazione di crisi ed incertezza, in cui anche il nostro comune si trova, impone a chi amministrerà Cesano di esserci, di conoscere la macchina a fondo, di seguire passo-passo più aspetti delle procedure in atto. Di essere riferimento costante per gli uffici. E al contempo di essere a Cesano, nelle strade ad incontrare la gente a spiegare cosa si sta facendo.

Lo dico osservando l’esempio dei nostri sindaci di più recente elezione, Maiorano a Buccinasco e Ferrucci a Corsico, che ho trovato immersi costantemente nel proprio lavoro per tutto il corso della giornata.

Su questo dovremo confrontarci.

Per quanto mi riguarda, ho anteposto alla mi disponibilità di candidarmi un ragionamento sulla mia vita professionale (e non nego sia stato uno dei motivi che mi ha fatto ragionare a lungo sul da farsi…). Continua a leggere “Un Sindaco a Tempo Pieno”

In evidenza

Sobrietà

Riflettevo sul fatto che osservo a diversi livelli almeno tre atteggiamenti distinti di affrontare la crisi che si ripercuotono anche sulle scelte politiche, dai governi fino ai piccoli comuni.

La reazione più paradossale è di coloro i quali se riconoscono il momento di grande difficoltà, lo reputano passeggero e transeunte, pertanto non ritengono di dover modificare il loro stile di vita (o la loro conduzione del governo). Seppur banalizzata, questa concezione può essere riassunta nell’infelice i ristoranti sono pieni di Berlusconi di un paio di anni fa. Come pure nelle affermazioni dell’allora super-ministro dell’economia Giulio Tremonti, per il quale già si intravedevano segnali di uscita dalla crisi e secondo cui la ripresa si sarebbe concretizzata nell’anno “x+1” (sarebbe a dire che nel 2010 aveva promesso la ripresa per il 2011, nel 2011 per il 2012 e via discorrendo).

In ecologia, tanto per sfondare le barriere tra diverse discipline, potrebbe essere letto come il modello a resilienza zero, ossia una visione completamente ostile all’adattamento alle nuove situazioni date, distaccata dalla realtà e, per via della sua risposta rigida, destinata alla sconfitta. Continua a leggere “Sobrietà”

In evidenza

Storia di un Emendamento

Noto che sul web stamane si parla molto – e lo si è fatto diffusamente in Consiglio Comunale – dell’emendamento al Bilancio, poi bocciato, che insieme ad altri 4 consiglieri del mio gruppo ho presentato ieri sera.

In sostanza abbiamo proposto, all’interno della variazione di bilancio prospettata dalla Giunta di spostare 10mila euro dal capitolo relativo alla Cultura/Promozione Locale alla voce relativa al sostegno delle attività sportive. L’emendamento rappresenta poco più dell’1% della variazione complessiva proposta… qualcuno si è dimenticato di ciò nella discussione, drammatizzandone i termini ed arrivando ad offendere – anche l’intelligenza – dei malcapitati sottoscrittori (ma questo è un altro livello, decisamente infimo, da cui solitamente ci si ritira di buon grado).

Un brevissimo excursus: nel Bilancio di Previsione approvato a Luglio, data la situazione di grande crisi che stiamo vivendo, e su cui in questo momento è inutile divagare, per lo sport erano stati stanziati 0 euro, per la cultura 45mila, di cui 5mila destinati all’ANPI e 40mila alla copertura del debito del Comitato Festa, di cui il Comune è uno dei promotori e quindi è chiamato a rispondere economicamente.

Alla luce della situazione data, come gruppo ci eravamo espressi affinché, in caso di reperimento di ulteriori risorse nelle fasi successive, queste fossero distribuite in maniera equa tra i vari settori, sottolineando il ruolo soprattutto di collante sociale di alcune realtà sportive del territorio (a Cesano c’è chi toglie i bambini dalla strada… così è, per fortuna).  Continua a leggere “Storia di un Emendamento”

In evidenza

Cesano: non possiamo chiudere le primarie…

Per il momento, come avviene a livello nazionale, si parla di regole.

Anche io preferirei confrontarmi sui contenuti fin da subito, ma è evidente che prima di tutto è necessario individuare la piattaforma comune su cui far avvenire il confronto tra i diversi candidati, definendo anche quali sono i paletti della disputa e preservando le prerogative del Partito.

Tutte questioni che meritano più di una riflessione, anche per far sì che tutti i candidati si possano riconoscere nelle regole di cui ci si doterà e per fare in modo che le primarie siano la grande Festa di Popolo che un po’ tutti auspichiamo.

Un percorso armonioso, senza troppe curve a gomito e soprattutto aperto.

Come ho sempre scritto, sono un fautore del doppio turno.

Ossia prima primarie tra i candidati del PD, ma con modalità aperte, dopodiché primarie di coalizione. Continua a leggere “Cesano: non possiamo chiudere le primarie…”

In evidenza

Cari Amici di CesanoCambia…

Cari amici di CesanoCambia,

ho letto con interesse l’appello che avete rivolto ai potenziali candidati sindaco in vista delle prossime elezioni. Noto l’attenzione particolare con cui seguite l’evolvere della situazione nel PD e nel centrosinistra cesanesi: la dice lunga, penso, sull’implicita centralità che il dibattito sulle primarie si sta ritagliando nella scena politica locale.

Detto ciò, mi preme esprimere alcune considerazioni.

Nel testo, dapprima provate a delineare quali sono le principali fasi in cui si dovrebbe articolare la campagna elettorale, dopodiché enunciate dei punti che dovrebbero aiutare il cittadino a capire chi sta votando.

Immagino che il cronoprogramma ipotizzato sia stato pensato sforzandosi di considerare l’intero arco delle forze in campo alle prossime amministrative, mirando quindi a una “base di intenti comuni” da cui partire.

Ragionando della mia parte politica, penso e spero che alcune tappe vengano anticipate.

Mi spiego meglio. Come ho scritto in queste settimane, credo molto nel senso delle primarie per la scelta del candidato sindaco.

Si sta concludendo il decennio che ha visto come sindaco Vincenzo D’Avanzo e questi ultimi 5 anni in particolare hanno rappresentato una fase di transizione.

Per due ragioni, essenzialmente. Continua a leggere “Cari Amici di CesanoCambia…”

In evidenza

E Primarie Saranno!

Ormai è praticamente ufficiale: il PD di Cesano si farà promotore nelle prossime settimane di primarie per la scelta del candidato Sindaco del Centrosinistra alle amministrative della primavera del 2014.

Si tratterà di Primarie Aperte, quindi non confinate al voto degli iscritti/militanti ma a chiunque, tra la cittadinanza, voglia contribuire a tale scelta.

Entro fine mese inoltre sapremo i nomi dei candidati del PD che vi parteciperanno.

Ipotizzo che saremo in 4 del Partito Democratico.

Si aprono ora alcune questioni di non poco conto.

Su tutte, quanto allargare la competizione. Non mi riferisco alla platea dei votanti (come già specificato) ma se e a quali candidati extra PD.

Qualche mese fa avevo proposto l’istituzione di un doppio turno: tale ipotesi prevedeva dapprima primarie di Partito (sempre “aperte”), poi il vincitore si sarebbe misurato con i candidati della coalizione.

Mi è stato obbiettato, non senza qualche ragione, che sarebbe impegnativo far votare le persone più volte.

E allora che fare? Continua a leggere “E Primarie Saranno!”

In evidenza

Che Cominci l’Avventura!

In chiusura del mese di luglio, con un’intervista a L’Incontro,  ho anticipato la mia intenzione di candidarmi alle primarie per la carica di sindaco in vista delle amministrative del 2014.

I mesi scorsi sono stati ricchi di riflessioni e di valutazioni circa questa decisione (prima) e rispetto anche alle tempistiche con cui muoversi (poi).

Oggi, dopo un ritemprante agosto trascorso per lo più in bicicletta, sento la necessità di mettermi a lavorare e a costruire nei fatti questo percorso.

Ancora non è certo se faremo le primarie per la scelta del candidato che correrà per diventare “primo cittadino”, ma al momento pare molto probabile, anche per il fatto che son già state avanzate le prime candidature che fanno da pungolo. Tra cui la mia.

Di certo nelle prossime settimane emergeranno altri nomi e spero che il PD locale oltre a spendere una parola definitiva sulla questione discuta anche delle modalità con cui allestire le primarie e delle regole da impiegare (alcune mie considerazioni qui).

Nel frattempo, ed indipendentemente da queste tempistiche, penso sia il caso di cominciare a dire come la penso io.  Continua a leggere “Che Cominci l’Avventura!”

In evidenza

Berlusconi ha appena visto il finale de “Il Sesto Senso”

Settimana scorsa mi sono addentrato in un territorio rischioso: in un post dal titolo “Letta Eterno” mi sono sbilanciato nel dire che a mio parere il governo delle Larghe Intese durerà. E molto.

Rischioso perché nei giorni seguenti i segnali parevano essere di tutt’altro tenore. Se Letta dovesse capitolare ci farei una figuraccia (per fortuna mi leggono in pochi!!!).

Continuo comunque a credere che il governo non cadrà. E oggi ne sono ancora più convinto.

Il motivo di fondo è che questo governo non è voluto né da Napolitano, né da Berlusconi, né da Epifani.

Questo governo è figlio di un quadro internazionale che ha marcatamente influenzato la situazione politica incerta italiana, forse forzandola a questa soluzione. Nonostante tutto quello che è successo da Monti in poi, continuiamo a guardare alla politica italiana come il risultato di forze prevalentemente interne. In realtà non penso sia così, sebbene non venga esplicitato dai giornali.

Quindi il destino dell’esecutivo è in mano a PD e PDL fino a un certo punto. Nel senso che chi intendesse far cadere Letta si troverebbe a dover fronteggiare – non so in che modo… (in Borsa ad esempio?) – i suoi reali “grandi elettori”. Continua a leggere “Berlusconi ha appena visto il finale de “Il Sesto Senso””

In evidenza

Letta Eterno

Premetto che nelle ultime settimane ho seguito poco la politica nazionale.

Il giro in bici (di cui penso di scrivere a breve…) nel centro-Italia mi ha occupato abbastanza e non avevo nessun interesse a seguire gli strascichi della vicenda legata a Berlusconi.

Ho leggiucchiato qualcosa delle grigie mosse di Napolitano, ma vorrei ripartire dal discorso di Letta di fronte alla platea del Meeting di Rimini 2013 – Emergenza Uomo (a proposito: ha del miracoloso che la rassegna sia sopravvissuta alla tempesta giudiziaria degli ultimi mesi).

Interesserà a pochi sapere che non mi ritrovo nelle parole dell’attuale Premier, condite da una melassa di buoni sentimenti da libro Cuore e da accenni di una visione di largo respiro (“ah, l’Europa dei fondatori!” si sospira) pur infarcite qua e là da precise stilettate democristiane.

La sostanza del messaggio è che il governo delle Larghe Intese deve proseguire perché è l’unica maggioranza possibile in grado di condurre l’Italia sull’unica strada possibile per la ripresa economica. Strada già imboccata per via dell’unica ricetta già seguita da tempo e anzi staremmo – a detta di Letta – intravedendo già i primi risultati (quando si parla di ripresa, fatto x l’anno in corso, si prevedono miglioramenti per l’anno x+1).

Di fronte alla platea acclamante del Meeting – lì si applaude il potere in tutte le sue manifestazioni – il Primo Ministro si è peraltro spinto oltre nella nuova impostazione neo-conservatrice che prevedendo appunto un’unica via per uscire dalla crisi, la loro, tende a mal sopportare e mettere al bando qualsiasi tipo di pensiero diverso e sminuisce il ruolo dell’opposizione. Un fastidio permanente, anche perché di ostacolo alle decisioni da prendere in virtù dello stato di calamità costante in cui ci si trova e della necessaria stabilità dei governi.

Non importa cosa fa un esecutivo. L’importante è che ci sia e che sia stabile. Continua a leggere “Letta Eterno”

In evidenza

Delibera Interpretativa del Piano Commerciale

Mi pare sensato dedicare qualche riga al consiglio comunale di settimana scorsa per soffermarmi in particolare sulla vicenda del Piano Commerciale (chiamato così per comodità anche se si tratta di parte integrante il Piano di Governo del Territorio).

Nel mese di marzo si è scatenata una furibonda polemica sul tema, perché a seguito dell’applicazione da parte degli uffici di quanto contenuto nel PGT, alcuni commercianti si sono trovati a dover stanziare cifre considerevoli per la monetizzazione dei parcheggi.

In quel periodo a condurre la battaglia è stato in particolare Massimo Mainardi (Lista Civica “La Svolta”) che pur avendo il merito di sollevare un problema che c’era evidentemente, si è lanciato in azzardati paragoni con lo scandalo delle tangenti di Finmeccanica. Nello specifico, ecco le sue dichiarazioni di allora (fonte mi-lorenteggio):

«E’ storia recente che a seguito dello scandalo FinMeccanica sulle tangenti per appalti e forniture all’estero, da qualche parte si è ipotizzato, come già avviene in alcuni paesi stranieri, la regolarizzazione delle somme versate per “concludere l’affare”.
A Cesano grazie al nuovo PIANO DELLE ATTIVITA’ COMMERCIALI, approvato assieme al Piano Regolatore e fortemente sostenuti dal Sindaco e dai capi gruppo di maggioranza PD-IDV-ecc, questa ipotesi è già realtà.
Giusto per mettere in croce gli ipotetici commercianti che sfidando le avversità del momento pensano di aprire una nuova attività, LOR SIGNORI, hanno pensato che in alcune zone del Comune, anche per immobili uso negozio già esistenti, fossero necessari dei parcheggi uso pubblico. Non ci sono! Poco male, paghi e potrai comunque aprire. Quanto?
Facciamo un esempio: per 100 mq. di locale (compresi bagni, retri, ecc) circa €. 8.500,00.
Ma una sola volta? NO, se il negozio chiude, avanti il prossimo.
Ma non è finita, nel centro storico e nella Via Roma invece, sempre per incentivare nuove iniziative, non si potranno più aprire attività para-commerciali (termine che alla Camera di Commercio non esiste). L’articolo 1.2 delle norme approvate precisa che le attività para-commerciali sono: parrucchiere, estetisti, pizza da asporto, gelateria, lavanderia, calzoleria, laboratori medici, assicurazione, ecc.
Naturalmente sarà la morte dei negozi di vicinato, rimarranno tutti chiusi. L’importante è che i proprietari paghino l’IMU.
Per porre rimedio a questo disastro, ci siamo rivolti al sig. Moro Presidente dell’Unione Commercianti e al sig. Merlino Presidente dell’Asso Commercianti Cesano. Naturalmente non sono mai stati convocati. Vergogna!».

Ritenni inaccettabili le sue dichiarazioni e intervenni a riguardo. Continua a leggere “Delibera Interpretativa del Piano Commerciale”

In evidenza

Piccole Parole di Apprezzamento per Renzi (… e saranno le ultime)

Sarà la necessità di movimento quasi futurista che sento negli ultimi giorni, sta di fatto che per qualche ora ho visto in maniera più benevola la parabola di Matteo Renzi.

Poi lo ho ascoltato nella chiacchierata da bar di Mentana (peraltro che strano format televisivo… è andato avanti fino al deperimento fisico dell’ospite) ed ho avuto la conferma che per me resta un boccone indigeribile.

Dopo l’alleanza sancita con il gruppo Repubblica-L’Espresso, ora ribattezzato Partito Renzi-Repubblica, ha pure cambiato sostanzialmente programma. Il vecchio liberista di qualche mese fa, ieri sera si lanciava nel sogno di un’Europa con gli stessi diritti dei lavoratori in tutti i Paesi dell’Unione… per non parlare dell’idea di aderire con convinzione al PSE, abbandonando l’odiosa nomenclatura di “Alleanza Progressista e Democratica Europea”… sembrava di aver di fronte un nuovo Altiero Spinelli. Evidentemente Scalfari e soci lo hanno aiutato a smussare un po’ di angoli a sinistra. La politica come operazione di marketing.

Come al solito sugli scudi, battuta pronta e qualche scivolone… come quello riuscito a Travaglio sull’assenteismo in consiglio comunale a Firenze.

Ora, la presenza di Travaglio mi è parsa senza senso (e infatti è stato sottotono): non si parlava di mazzette, corruzione, trattativa Stato-Mafia, Ruby e Nicole (ed è già qualcosa…). Conseguentemente il suo raggio d’azione era per forza di cose limitato. Ha punto sull’unico tema su cui poteva essere incisivo: le scarse presenze in consiglio comunale del caro Sindaco (solo 7 su 17 quest’anno).

Il nostro eroe ha dato una risposta pessima, a dir poco:

“In consiglio comunale si discutono cose non vere. Quindi è già tanto che ci sono andato 7 volte.”

Ammetto che la risposta mi ha colpito in quanto consigliere comunale che tutto sommato riconosce l’utilità del ruolo se è vero che nell’assemblea di cui faccio parte si approvano PGT e bilanci.

Detto questo comunque ragionavo su come Renzi in poco tempo sia stato in grado di assumere posizioni, spesso anche contrastanti con quanto detto poche settimane prima, e della disinvoltura con cui ha distrutto e costruito alleanze in questi mesi. Un’anguilla che è riuscita a sfilarsi dalle reti del centrodestra, che ha gigioneggiato con Berlusconi per poi scaricarlo, che continuamente si fa beffe del vecchio amico paolotto Letta (abile solo nell’incassare), che sferza continuamente l’apparato del PD.

Il grande merito di Renzi è la capacità di rischiare, cosa che non vedo in altri personaggi del centrosinistra. Tanto per fare un paragone facile, basta vedere le differenze con Civati. Non tanto di posizionamento politico, ma per come si muovono.

Civati è sempre in lotta contro le grandi intese (e mi piace anche per questo). Ma al dunque non colpisce mai. Quando c’è stata da votare la fiducia al governo è uscito quasi per paura di quel Belzebu di Franceschini che minaccia espulsioni… mamma mia che brividi!

E soprattutto c’è un’inconsistenza di fondo: mentre per quanto riguarda Renzi si sa dove vuole andare a parare, Civati si candiderà come segretario, ma la sua strategia è sempre sospesa…

Il problema poi, che fa emergere Renzi, è sempre quello. Ossia la presenza dell’apparato PD.

Di quel motore immobile e guasto responsabile di tantissimi errori negli ultimi decenni che è sempre più arroccato e distante dalla realtà. Rinchiuso nel Palacio de La Moneda, ma senza la dignità di Allende.

Sono quelli che appunto non prendono mai posizione per primi ma sempre sulla difensiva ed in risposta. Molti di loro sono arrivati in parlamento sfruttando corsie preferenziali e senza aver mai rischiato nulla nella propria vita, alcuni non hanno mai lavorato. Sono quelli che erano già vecchi ai tempi di Prodi e che si sono consegnati disarmati all’abbraccio di Berlusconi. E sono gli stessi che lanciano nuove leve alla Speranza, germogli già appassiti in primavera.

Renzi se li deve tenere stretti. Senza di loro magari emergerebbe qualche figura nuova e forte in grado di contrapporsi a lui. Forse sarebbe cresciuto qualche nuovo leader in grado di ridare una prospettiva alla sinistra italiana.

Con loro lì questo non è possibile e un giovane in gamba, vedi Renzi, per emergere deve essere necessariamente in contrapposizione. Non è un caso secondo me che il Sindachetto non venga dagli ambienti degli ex-DS.

In evidenza

E pensare che il problema era l’antiberlusconismo…

Mi viene in mente De André:

“Guardatela oggi questa legge di Dio, tre volte inchiodata nel legno”

La legge di Dio (non si sa quale) in questione era il dogma secondo cui gli insuccessi del centrosinistra fossero legati al suo bellicoso antiberlusconismo.

Meglio espresso, aveva un suo fondamento, che condivido: il fatto di parlare ossessivamente dei problemi giudiziari di Berlusconi – magari discutendo meno dei suoi insuccessi governativi – nascondeva la difficoltà in fase di proposta del centrosinistra italiano, vuoi per disorientamento ideale, vuoi per le tante divisioni che impedivano di sposare una linea comune. E quindi questo atteggiamento di sudditanza ha sicuramente rappresentato un collante per la nostra coalizione in passato.

Ma la logica avrebbe voluto che un solido antiberlusconismo militante una volta accompagnato da un programma realmente riformista potesse comunque rendere credibile il centrosinistra come forza di governo.

Alla fine cos’è l’antiberlusconismo se non una fiera rivendicazione di valori democratici e libertari?

E invece no. E’ stato seppellito.

Berlusconi non andava più nominato proprio mentre si accingeva a vincere le elezioni con una maggioranza schiacciante. Poi lo stesso che ne parlava come “il principale esponente dell’opposizione” ne ha pure tessuto le lodi da maturo statista per qualche settimana dopo il voto del 2008.

Campo aperto quindi, oltre che per i “ventri molli” anche per tutte quelle pulsioni inciuciare, finalmente in libero sfogo, imprigionate nel corso di anni.

Ed eccoci così al secondo governo delle sporche intese in pochi mesi.

Entrambi non indicati dal voto, entrambi non discussi in congressi di partito. Delle oligarchie indistinguibili che se la cantano e se la suonano fraternamente abbracciate.

Oggi è fin troppo facile condurre questa riflessione. Ma la faccio lo stesso, infierendo.

I problemi di Berlusconi ormai sono anche problemi del PD. Come si suol dire: “se lo sono portati in casa”.

Se al Partito Democratico fosse rimasto un minimo di quell’orgoglioso antiberlusconismo militante non saremmo a questo punto.

In evidenza

Sulla visita di Papa Bergoglio a Lampedusa

Stavo ragionando sulla visita del Papa a Lampedusa.

Sicuramente un fatto significativo. Un bel gesto. Si passa da una Chiesa teutonica che mette avanti le sue campagne sull’embrione a una Chiesa che apre al terzo mondo e alla povertà.

Finalmente ci si ricorda di quelle tragedie in mare. Uno spettacolo vergognoso, senza dimenticare le immagini drammatiche di uomini morti nel tentativo di attraversare deserto. Quanti non ce l’hanno fatta e sono stati sommersi dalla sabbia…

Pur conservando la visione tradizionale su amore, embrione e fecondazione, per lo meno si sottolinea il fatto che difendere la vita non significa solo battersi per organismi composti da qualche cellula e crioconservati nelle provette, ma anche (il “soprattutto” ce lo aggiungo io…) soffrire per quelle vite che scappano dall’inferno della miseria – spesso della guerra – e affondano i propri sogni di un’esistenza migliore al largo delle coste siciliane.

E che profonde le simbologie!

Che forza trasmette l’immagine della croce costruita con delle assi dei barconi. Come è più facile (ri)trovare lì il messaggio evangelico rispetto a qualche suppellettile d’oro arricchita dalle reliquie di qualche santo in Vaticano.

Allo stesso tempo però mi domando cosa rimarrà di questa visita.

Il Papa con il suo bel gesto passa, raccoglie gli applausi, pone un problema all’opinione pubblica. E se ne torna a Roma. Ci mancherebbe, non è tenuto a fare nulla. Ma il problema non è suo.

In questi giorni si leggerà “Rivoluzione di Bergoglio” e altri titoli spropositati similari. Ma ci si ferma a un messaggio sicuramente positivo che non trova né propone nessuna soluzione per un fenomeno di portata biblica. In estrema sintesi, potrebbe parer semplice…

La difficile questione epocale e storica dell’immigrazione invece rimane alla politica.

Che non l’ha più affrontata. Su come gestire l’immigrazione non c’è dibattito.

Si parla solo di razzismo e, dall’altra parte di solidarietà e di dignità della persona. Ci si divide tra questi due poli come se lì fosse l’essenza della questione. E’ un imbarbarimento (ma da entrambi i lati…).

Nei programmi dei partiti il tema è scomparso.

Lo ius soli, di cui si parla e su cui ci si divide, non è un meccanismo per cercare di governare un processo per molti versi ingovernabile.

Al di là della crisi economica, l’immigrazione è uno dei fenomeni più complessi che caratterizzano questi anni. Ma non se ne parla mai. Non interessa. Ogni tanto si da notizia di qualche morto in mare.

Le idee che circolano sono proprio superficiali e “ideologiche”.

E’ chiaro che il razzismo è frutto di una visione irrazionale e che la dignità della persona va messa al centro di ogni politica. Ma precisato questo, è evidente che l’Italia ha bisogno di leggi che contrastino queste ondate migratorie.

Se da un lato necessitiamo di forza lavoro e a chi arriva dobbiamo garantire l’integrazione e gli stessi diritti degli altri, è anche vero che dobbiamo regolare gli accessi. Non possiamo subire vere e proprie invasioni a cui il nostro Paese non è in grado di dare risposte con il rischio di far collassare il nostro sistema di welfare negli anni a venire e di creare gravi scompensi sociali.

Anche perché, finché una donna nigeriana continuerà in media ad avere 7.4 figli, qualsiasi sforzo umanitario in un mondo che si avvia ai 10 MLD di abitanti si rivelerà inutile.

In evidenza

E si parla di “Primarie”…

Apprendo dal Sì o No che il Presidente del Consiglio Comunale di Cesano, Nicola Bersani, ha scritto una lettera in cui accoglie la mia ipotesi di Primarie a doppio turno per la scelta del candidato Sindaco del Centro-Sinistra.

Mi fa piacere.

Soprattutto perché, al di là delle formule, un esponente importante della maggioranza (nonché papabile) si esprime affinché si facciano le primarie a Cesano. Questa è la cosa più importante.

Dopodiché, vedremo i modi e le regole.

A differenza di Bersani io però non amo parlare di Pre-Primarie, ma di Doppio Turno.

Non ho in mente un primo momento, più ristretto, per poi allargare a tutta la cittadinanza.

Ho semplicemente in testa due passaggi che con le stesse regole scelgano dapprima il candidato del PD, poi il candidato per l’intera coalizione. Primarie vere in entrambi i casi, semplicemente con candidati diversi.

In entrambi, mi piacerebbe che ci il voto fosse il più allargato possibile.

Sarebbe sbagliato parlare di primarie se si intendesse una semplice assemblea degli iscritti. E, come già scrivevo, con 80-100 iscritti non si può certo dire di essere rappresentativi del centro-sinistra. Si tratterebbe di una scelta fatta nel chiuso di una stanza rispetto alla vastità dell’elettorato cesanese.

Intanto comunque è bene che si parli di primarie…

In evidenza

Approvazione Bilancio di Previsione 2013: Area di Via Gobetti

Ieri sera abbiamo approvato il bilancio di previsione per il 2013.

Sapevamo che sarebbe stato molto difficile, dato che si tratta di un bilancio di vera emergenza. Ormai lo si dice tutti gli anni, ma per i tartassati comuni italiani, la situazione è questa. E sarà sempre peggio se il governo non si darà una mossa.

Tagli ai trasferimenti, scarsa flessibilità dei bilanci, ridotte soglie di indebitamento (non accendiamo un mutuo da anni…) e soprattutto, il patto di stabilità.

L’esempio di Cesano è quantomai emblematico.

Con sacrifici e tagli a settori vitali come sociale, cultura e sportivo, per più di 600mila euro, il Comune sarebbe stato in grado di rispettare gli equilibri di bilancio.

Tutto ciò, sottolineo, senza vendere nessuna area.

Purtroppo però, per raggiungere l’obiettivo del patto di stabilità, la giunta ha dovuto cercare ulteriori 3.2 milioni di euro. Che, come comprensibile, per un comune delle dimensioni di Cesano, possono arrivare solo da grosse operazioni quali la cessione di un lotto importante come quello di via Gobetti.

Questo passaggio è fondamentale.

Cesano Boscone avrebbe potuto chiudere il bilancio senza vendere nulla. E quasi senza oneri di urbanizzazione. Quindi chi continua a straparlare del ruolo degli oneri di urbanizzazione nel mantenere la spesa corrente del nostro comune non sa di cosa sta parlando.

Poi quell’ “alchimia contabile” che è il patto di stabilità obbliga l’ente a conseguire un saldo di competenza mista (calcolato come somma algebrica degli importi risultanti dalla differenza tra accertamenti e impegni, per la parte corrente, e dalla differenza tra incassi e pagamenti, per la parte in conto capitale, al netto delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese derivanti  dalla concessione di crediti, come riportati nei certificati di conto consuntivo) non inferiore al valore della propria spesa corrente media registrata negli anni 2007-2009, moltiplicata per la percentuale stabilita.

Siamo in presenza cioè, di un artificio che prende tre annualità come riferimento (fregandosene assolutamente di cosa possano aver rappresentato per il comune) la moltiplica per una percentuale e determina quali saranno le performance che l’ente dovrà raggiungere. Parlare di meccanismo estremamente indiretto e privo di riferimenti specifici ai contesti su cui viene applicato pare un eufemismo.

E’ così che il nostro comune ha dovuto mettere in vendita l’area di via Gobetti al Quartier Tessera.

Un’area importante, su cui nel PGT si era giunti a un delicato equilibrio e che nelle intenzioni era destinata alla cessione nei prossimi anni. Invece sono stati scombinati i piani.

Oltre alla sofferenza di dover costruire nuove case a Cesano, per quell’operazione passa il destino della scuola in quartiere (nel PGT abbiamo previsto il mantenimento di una struttura scolastica) e in parte si intreccia con la risoluzione del caso piscina. Conseguentemente anche del centro sportivo.

Insomma, un ganglio politico che dovrebbe essere affrontato con la dovuta serenità e non per effetto delle pressioni della Merkel (banalizzo).

Come ho detto ieri in consiglio, ritengo essenziale che per la scuola si riesca ad intraprendere un percorso partecipato proprio in quartiere. Non basta dire:”rifaremo la scuola” e “beh, ci sono delle norme”. Ma dobbiamo anche dire che scuola vogliamo e dobbiamo pure inquadrarla nel contesto dei prossimi anni, in vista dell’evoluzione che il quartiere e Cesano subiranno.

Il fatto politico interessante è che, nonostante lo scontato voto contrario, dalla minoranza, in particolare dai consiglieri Raimondo (Fratelli d’Italia) e D’Ercole (PDL) sono arrivate parole di comprensione circa l’operazione. I due consiglieri d’opposizione, in maniera molto onesta intellettualmente, hanno ammesso che probabilmente non c’era altro modo per reperire quelle cifre.

Sullo sfondo, tanto per capirci, un passaggio del discorso di D’Avanzo di ieri sera.

Il Sindaco ha spiegato che nei quinquenni dal 1999 al 2004 e dal 2004 al 2009 il comune ha potuto disporre di più di 20 milioni di euro per gli investimenti. In questo mandato (2009-2014) a malapena – forse – arriveremo a 5.

Cifre che parlano da sole.

In evidenza

Per le Primarie a Cesano

Sono sempre stato convinto che le primarie siano il vestito della festa da indossare poco per non sgualcirlo.

In questi primi anni di vita del PD ne sono state il tratto distintivo e sono state impiegate spesso (troppo secondo taluni) per scegliere candidati graditi all’elettorato.

Quando riescono a mobilitare massicciamente il popolo del centrosinistra, rappresentano sicuramente un elemento di grande partecipazione.

A Cesano si voterà per il rinnovo del Consiglio Comunale nella primavera del 2014.

Nel panorama locale sarà una tappa storica, in quanto ci si avvia verso la chiusura dell’epoca D’Avanzo e ci si appresta, si spera, ad eleggere un consiglio comunale decisamente rinnovato.

Una nuova stagione.

Penso che sarebbe impensabile attraversare tale fase senza avere un riscontro diretto dal nostro elettorato.

Forse un tempo ci si sarebbe rivolti alla platea degli iscritti. Ma i partiti erano ben altra cosa e, dati i numeri, erano decisamente più rappresentativi rispetto al contesto sociale in cui operavano. Negli ultimi anni abbiamo fatto fatica spesso a raggiungere i 100 tesserati su un comune, Cesano, che conta 25mila abitanti. Troppo poco per soddisfare la domanda di partecipazione che c’è nel paese e che si palesa, nel mio piccolo, anche per la strada e sui mezzi pubblici attraverso la curiosità di persone che mi capita di incontrare.

Detto questo, mi pare che lo strumento giusto sia rappresentato dalle primarie, proprio per la loro capacità di attrarre più persone e per obbligare chi intende presentarsi a venire allo scoperto, proponendosi con un progetto per Cesano che dovrà convincere i cittadini prima ancora che rispondere a logiche più squisitamente politiche (ci torno nei prossimi giorni…).

Mi spiace perché osservo da parte di alcuni un certo scetticismo, legato credo al timore che possano vincere, anche grazie al voto organizzato, candidati non riconosciuti come rappresentativi dallo schieramento di centrosinistra, dalla cui vittoria discenderebbero sicuramente problemi di gestione.

Non la vivo così.

Sono conscio dell’esistenza dei pacchetti di voti e conosco la platea in cui abito e faccio politica.

Ma sono anche convinto che un comune molto vivace come Cesano Boscone, dove il PD e il centrosinistra possono vantare un forte radicamento anche alla luce dei tanti anni di ininterrotto governo,  possa sprigionare un enorme potenziale, tale da coinvolgere più di un migliaio di persone.

Maggiore è la partecipazione, maggiore sarà la capacità di rendere ininfluenti i pacchetti di voti.

Se saremo bravi ad organizzare l’evento, i cittadini ci premieranno votando in massa per un progetto che sarà a quel punto sicuramente rappresentativo dell’anima del centrosinistra cesanese. Se la partecipazione non sarà all’altezza, beh, allora la colpa sarà solo nostra e ci saremo meritati i possibili esiti infelici che ne potrebbero sortire.

L’aspetto che più mi sta a cuore rispetto alle primarie è che non si riducano come spesso capita ad essere una “competizione tra figurine“.

E’ evidente che serviranno a scegliere il nostro candidato sindaco. E non sono certo a dire che sia secondario il profilo che andremo ad individuare. Ma ci deve essere la consapevolezza che debbano rappresentare soprattutto un confronto di programmi e di idee.

Dobbiamo presentarci ai cesanesi esprimendo sinceramente il nostro pluralismo e sforzandoci di elaborare delle visioni su come amministrare in questi tempi estremamente complicati un comune popolare, che negli ultimi anni è cresciuto molto e che ha oggi raggiunto la saturazione.

Non se ne può fare a meno anche perché non penso che alla gente interessi soltanto indicare un volto da associare a un programma predefinito e comune ai candidati. Non verrebbe vissuto come un vero momento di coinvolgimento. Dovrà essere uno scontro leale, ma vero, in cui mettere in campo le diverse proposte che esistono nel PD e nel centrosinistra cesanese. E in cui ad uscire investito non deve essere solo un candidato sindaco, ma anche delle linee di programma, poi ovviamente da condividere nella coalizione.

Al di là di chi si candiderà e dal numero dei candidati, ritengo che non si debba ripetere l’errore a cui abbiamo assistito in altri comuni, ossia primarie di coalizione a cui partecipano diversi candidati del PD.

Indipendentemente dal risultato finale, trovo quasi apolitico che un partito non sia in grado – quando il parterre coinvolge candidati di altre liste – di presentarsi con un suo unico candidato. Avere più candidati in primarie di coalizione, sarebbe già una sconfitta per il PD. Un segnale inequivocabile di divisione e al contempo quasi di inutilità del partito: a che serve se non trova le modalità per fare sintesi?

Credo invece che sarebbe più interessante prevedere dapprima primarie del Partito Democratico (qualora vi fossero più papabili candidati interni che si volessero confrontare), poi, eventualmente, primarie di coalizione tra il candidato indicato dal PD e altri soggetti della coalizione che volessero proporsi come sindaco.

Ho scritto “eventualmente” perché al momento non sono a conoscenza di potenziali candidature esterne al PD, ma qualora emergessero nella coalizione, sarebbero evidentemente da considerare.

Con questo post sono interessato ad esprimere il mio giudizio favorevole circa il ricorso allo strumento delle primarie. Nei prossimi giorni cercherò di fare luce su altri aspetti fondamentali dei prossimi mesi che non saranno però garantiti dalle primarie e su cui sarà necessario prestare particolare attenzione.

quello che le primarie non danno: collegialità, criteri per la formazione di una nuova squadra, programma definito – non due paginette

scatto del partito

In evidenza

Renzi – Briatore

Non mi riconosco – e non è mistero –  nelle posizioni di Renzi.

Ma ne ho sempre visto le potenzialità (fin dalla prima Leopolda) e soprattutto sono convinto della sua immediata scaltrezza.

Per questo faccio fatica a sostenere quanto sto per scrivere, che però è un dubbio che nutro da un po’. Soprattutto dopo aver letto il libro di Bisignani.

Il noto faccendiere descrive l’ossessione di Berlusconi per Renzi. Stima, apprezzamento ma anche la consapevolezza che è l’avversario contro cui forse non avrebbe possibilità di farcela (forse perché incarna molti tratti di Berlusconi… ed è giovane e sfacciato, aggiungo io).

Mi continuo a chiedere: ma Renzi, come valuta i continui ed impegnativi endorsement di Briatore di questi giorni?

E’ vero amore?

O è una strategia per logorarne l’immagine, soprattutto presso l’elettorato di sinistra?

Il sindachetto può parlare fin che vuole di “moralismo senza morale” e non è detto che vi sia un fondo di verità. Ma è altrettanto vero che c’è un mondo per cui Briatore è un boccone indigesto e a cui viene la nausea quando lo stesso manager dice di essere pronto a tesserarsi al PD.

E Renzi può dire ciò che vuole ma se non tranquillizza parte consistente dell’elettorato del PD – che è di sinistra – non andrà da nessuna parte (almeno finché sta nel PD).

Poi ovvio, ci sono anche altri scenari.

Ad ogni modo, ho il dubbio ma non riesco a credere che Renzi sia così sprovveduto da cadere in un tranello del genere. Ci sono tanti aspetti di lui che non mi piacciono, ma ripeto, non penso sia un fesso.

In evidenza

Barca, l’UFO del PD

C’è grande curiosità rispetto al nome di Fabrizio Barca.

Figlio del partigiano e dirigente comunista Luciano, entra nel governo Monti come ministro della coesione territoriale pur dichiarando di votare per SEL. Recentemente ha aderito al PD, presentandosi alla platea democratica con un impegnativo documento di 55 pagine “Un Partito Nuovo per un Buon Governo” che decide di esporre in giro per l’Italia.

Si tratta di un testo complesso, distribuito nei fatidici giorni dello scorso aprile che hanno visto le bocciature di Marini e Prodi e la rielezione – piena di presagi –  di Napolitano a Presidente della Repubblica (fatto che Barca criticò, dichiarando al contempo la sua preferenza per Rodotà o Bonino).

Dato che si vociferava da tempo di un impegno diretto dell’ex ministro, anche come candidato alla guida del PD, il taglio di quello scritto colpì molti e scatenò una ridda di commenti ironici (e ingenerosi) rispetto alla popolarità di un linguaggio così accademico: alcuni non si sono ancora ripresi dall’aver incontrato il termine “catoblepismo” dopo poche righe e, in fatto di percentuale di lettori che ne hanno portato a termine la lettura, non siamo lontani dall’Ulisse di Joyce.

Ci si aspettava forse un documento diverso, anche con riferimenti più diretti rispetto alla fase politica attuale. In fatto di contestualità, mi ha fatto venire in mente De André che nel ’68 ha scritto il bellissimo “La Buona Novella”, un disco incentrato sulla figura di Gesù e della Madonna.

Scherzi a parte, ho letto il documento e l’ho trovato affascinante.

Innanzitutto ho gradito lo sforzo di Barca di presentarsi con un contributo che andasse al di là della promozione della sua persona attraverso il solito libro autobiografico in cui si racconta delle esperienze di scoutismo o della diffusione di qualche slogan ad effetto, ma che affrontasse in maniera seria ed originaria la questione della forma partito. Rispetto alle battutine di cui sopra, le ho valutate come la manifestazione di una certa inerzia mentale, ossia dell’incapacità di prendersi qualche volta sul serio – la politica è questione serissima – riconoscendo che non tutto è comunicazione ma che c’è un livello in cui sarebbe opportuno confrontarsi sulle questioni, chiarendo quali sono gli obiettivi comuni dell’impegno politico e definendone di conseguenza la linea.

Il “comunicare bene” è fondamentale, ma viene dopo. Discende. Prima bisogna avere qualcosa da dire. Arricchirsi.

Secondo merito di Barca è l’aver deciso di affrontare un tour per l’Italia con la finalità di discutere – ed integrare – tale “esercizio di scrittura“. Direttamente nei circoli, direttamente con i militanti. Senza porsi l’assillo delle scadenze (si è tirato fuori dalla contesa per il Congresso).

Da quando c’è il PD, è il primo a fare un’operazione del genere. Non sottovaluto questo aspetto.

Sapendo del passaggio del catoblepa da Milano (dal circolo di via Albertinelli, per dare merito al merito…) non ho resistito dall’andare ad ascoltarlo.

Durante la serata, benché impostata con Barca che interveniva a seguito di domande ed interventi del pubblico, l’ex ministro si è ritagliato uno spazio per delineare il suo pensiero.

Partendo da un’osservazione: nel passato ci sono stati grandi partiti e spesso benché non fossero al governo, come nel caso del PCI, sono comunque riusciti a realizzare parte della loro “visione del mondo“. Oggi, di fronte a un quadro politico per certi aspetti più semplice – si chiedeva Barca – “un partito delle dimensioni del PD cosa è riuscito a realizzare? Nulla.” Secondo Barca, il problema è uno: la questione culturale.

La sinistra – dice il catoblepa – è stata egemonizzata da un pensiero a lei alieno. E la dimostrazione è nel fatto che si pensa che il sapere sia di pochi. E’ assurdo! Poteva valere negli anni ’60 ma oggi i livelli di istruzione si sono elevati, tanti sono competenti, non esistono solo pochi “saggi”. Eppure il problema della politica oggi è dare più poteri al primo ministro, scegliere “Cesare”, restringere e velocizzare. Le riforme in questi anni sono state fatte nella torre con i risultati che vediamo, e ci si è adattati all’idea che “riformare” sia equivalente a “normare” e che “governare” significhi attuare delle ricette, in maniera rigida. I partiti, come dice Pasquino, sono diventati “docili strumenti nelle mani degli eletti”. Non può essere così“.

Stupendo la platea, Barca ha affermato che secondo lui la TAV in Italia non si farà mai: “Non si può fare un’infrastruttura senza che questa sia condivisa dai territori. Infrastrutture di questo tipo non si definiscono nel chiuso di una stanza“.

E partendo proprio dalla discussa opera ha spiegato le basi del suo sperimentalismo democratico che cercherò brevemente di illustrare di seguito.

L’80% di una decisione (ad esempio la realizzazione di un’infrastruttura) andrebbe decisa durante la sua realizzazione. Chi avvia un’opera dovrebbe essere ignorante, nel senso che dovrebbe avere il compito di assumere una decisione forte ma poi queste dovrebbero essere incomplete proprio perché sulla base di uno scambio continuo tra il centro e il locale si costruiscano reti di apprendimento nel monitoraggio che portino al completamento dell’opera. Lo scambio alimenterebbe il “coagulo delle conoscenze“, dato che come premesso, non sono solo pochi a sapere ma si trovano competenze ad ogni livello.

Sapendo che Barca è laureato in scienze statistiche, viene il dubbio che questo concetto della previsione, costruzione anche attraverso l’analisi e il monitoraggio, sia stato influenzato dalle tecniche di statistica cosiddette di machine learning, alla base dell’intelligenza artificiale (penso alle reti neurali che si applicano anche alla biologia).

Ritornando all’apprendimento, ha anche aggiunto che “lavorando si capisce cosa non funziona. A Pompei siamo intervenuti sulla gestione dei fondi comunitari. Il problema non era legato a fenomeni di corruzione, concussione etc. Ma abbiamo dovuti collaborare per impostare cronoprogrammi, addirittura per scrivere i bandi

Necessariamente, lo scambio tra livelli, deve essere alimentato dal conflitto tra le parti (anche in ambito sociale) e la gestione del conflitto è la chiave per arrivare in fondo.

Lo strumento per questa interazione tra società/locale e Stato/centro è il partito politico, che Barca nel famoso documento descrive come un’entità altra dallo stato, anzi sempre in competizione, “sfidante dello Stato stesso attraverso l’elaborazione e la rivendicazione di soluzioni per l’azione pubblica“.

Da qui la sua critica feroce al modello attuale del Partito statocentrico del documento:

La copiosità del finanziamento pubblico dei partiti, mirando a liberare i partiti stessi dal condizionamento dei “fondi neri” provenienti dalla degenerata conduzione dei grandi enti pubblici nazionali o locali, li ha in realtà legati stabilmente allo Stato, sancendo e accrescendo la loro non-dipendenza dal contributo degli iscritti, il cui controllo sul partito si è così viepiù ridotto. Ad aggravare le cose sta il fatto che questi finanziamenti essendo commisurati agli esiti elettorali, sono anche formalmente connessi agli eletti. Ciò consolida il “controllo” dei gruppi parlamentari, attraverso filiere di comando che da singoli “capi-cordata” nei gruppi scendono lungo il partito stesso e sono alimentate dai flussi di risorse disponibili. Questa relazione perversa è stata facilitata da un ordinamento che rafforza l’indipendenza dei gruppi parlamentari – ossia degli eletti – dagli organi direttivi dei partiti (…)

e ancora:

Il partito nuovo sarà rigorosamente separato dallo Stato, sia in termini finanziari, riducendo ancora il finanziamento pubblico e soprattutto cambiandone e rendendone trasparente metodo di raccolta e impiego, sia prevedendo l’assoluta separazione fra funzionari e quadri del partito ed eletti o nominati in organi di governo, sia organizzandosi in modo da attrarre il contributo di lavoro (volontario o remunerato) di persone di buona volontà per periodi limitati di tempo, sia stabilendo regole severe per scongiurare ogni influenza del partito sulle nomine di qualsivoglia pubblico ente. Sono queste le condizioni affinché il partito sia di effettivo sprone per lo Stato, chiunque lo governi, e affinché iscritti e simpatizzanti nonché dirigenti locali da quelli scelti, abbiano l’incentivo a impegnarsi nella mobilitazione cognitiva e tornino a essere determinanti per la selezione della dirigenza nazionale.

Poi per Barca è stato il turno di rispondere alle domande sull’attualità, partendo dalla non-vittoria alle elezioni.

Pur clemente (forse troppo) con Bersani (“Bersani non convincente perché onesto e l’onestà ha un’immagine deprimente“), Barca ammette che se molti italiani hanno votato e continuano a votare per Berlusconi, devono avere le loro ragioni. Alla base della politica di questi anni c’è la ferma volontà di non cambiare nulla ma la speranza dell’elettorato di ricevere aiuti particolari. E in questo Berlusconi è stato autentico interprete. Ma da questo fenomeno, secondo l’ex ministro, nasce anche la disaffezione alla politica. Barca la spiega dicendo: “Non è un caso che il primo ad odiare la politica sia l’aiutato. Lo è perché è stato mortificato con l’aiuto.” Effetto.

Secondo il Catoblepa, è mancato da parte del PD un segnale di cambiamento radicale. E a dispetto della figura di Bersani, il partito ha qualche problema morale: “ad esempio il PD calabrese è degenerato ed è in mano ai capibastone

Oltre ad esprimere grossi dubbi sulla proposta di legge sul finanziamento dei partiti e dicendosi fermamente contrario a modifiche in senso semipresidenziale della Costituzione (“Abbiamo dei germi come in Germania di una qualche malattia recente e pensiamo al semipresidenzialismo… non esiste!“) curiosamente Barca ha detto che non crede che il prossimo – ed invocato – congresso del PD sarà lo spartiacque in grado di dare una linea al partito.

Aggiungendo di voler dare un contributo culturale e dicendosi pronto a sostenere chi tra i candidati abbia idee compatibili sul partito (anche se si è capito che la sua preferenza andrà a uno tra Civati e Cuperlo) si è detto convinto che serviranno anni per dare finalmente un senso al Partito Democratico.

Mai scontato, anche descrivendo l’esperienza del Governo Monti (di cui ha fatto parte):

“quel governo aveva un problema di fondo. I miei colleghi ministri erano tutte personalità di altissimo profilo, ma a quel governo mancava la politica. Fu un’operazione necessaria, l’Italia stava veramente saltando in aria e dall’estero erano preoccupati – la banca centrale era preoccupata – perché Berlusconi era vistosamente uscito di senno. Ma quel governo, come ho detto anche mentre ero ministro, ha vissuto 5-6 mesi di troppo: aveva perso la spinta propulsiva e fu un errore del PD e di Bersani non tirare il freno a fine estate. Egoisticamente a me quei mesi in più hanno fatto comodo perché ho potuto proseguire il mio lavoro per L’Aquila e il Sulcis”.

Prima di chiudere, ha raccontato l’applicazione dello Sperimentalismo Democratico a L’Aquila, dove “ogni euro speso è stato rendicontato e dove i cittadini hanno potuto toccare con mano come sono stati spesi i pochi soldi a disposizione, anche grazie ad assemblee in piazza, una delle quali organizzata con Il Fatto Quotidiano che lo stimolava”.

Infine ha chiuso spiegando le ragioni della sua iscrizione al PD benché in precedenza avesse votato SEL:

“Innanzitutto devo ammettere che ho trovato il Partito Democratico migliore di quanto pensassi. Me ne sono accorto in giro per l’Italia, nel Sulcis. Ho avuto a che fare con tanti sindaci e amministratori locali del PD veramente preparati. A parte i “cadaveri selezionati”, è nel PD il fiore delle energie del Paese. In particolare mi sono trovato in sintonia con i nativi del PD, chi per età anagrafica hanno meno pregiudizi e nefaste strutture mentali di molti anziani. A differenza di SEL, il PD è organizzato territorialmente: da qui si può costruire un partito e io voglio collaborare a ricostruire la sinistra in Italia.”

Poco più di una cronaca della serata.

Aggiungo qualche considerazione a margine.

Innanzitutto non si può che salutare con piacere l’iscrizione di Barca al PD. Sarà sicuramente uno dei protagonisti dei prossimi anni. Probabilmente le strategie che lo riguardavano sono cambiate in corsa, per via di come sono andate le cose: se si fossero vinte le elezioni sarebbe stato un papabile segretario (magari dopo la convergenza di PD e SEL in un unico partito) oppure, più probabilmente, alla guida di un importante dicastero economico.

Così però non è stato e oggi la situazione è terribilmente diversa.

Barca sta sondando il PD. Ecumenicamente, forse troppo, con i leaders, fino al “io e Renzi siamo compatibili” di qualche settimana fa, chissà quanto sincero.

E con la base, girando l’Italia presentandosi-presentando il documento (gioco di parole voluto, ovviamente) e partecipando a diversi talk show, come la bella discussione sul Partito Democratico con Veltroni di qualche giorno fa trasmessa da La7.

Resta un oggetto misterioso. Si capisce che è in corsa, ma non è alla partenza e anzi pare quasi allontanare la sfida. Anche in questo è l’anti-Renzi (altro che complementari): il sindaco di Firenze è in perenne lotta contro il tempo, colpevole di affamare la sua brama di potere. Barca è più riflessivo, sa di avere un gap di notorietà da scontare, si sta facendo conoscere. Deve prepararsi per una sfida nel prossimo futuro. Non sappiamo ancora quale.

Si rivolge evidentemente alla parte del PD che guarda verso sinistra e richiama direttamente Bersani, rispetto al quale ci sono delle analogie (un uomo che viene da sinistra e con un importante esperienza di governo). Preparato e con un netto profilo di innovatore, rispetto all’ex segretario appare più ricco nell’esposizione (non si avvale delle celebri immagini retoriche) e con prese di posizione più nette, seppur espresse con garbo, come quando nel corso della serata ha dichiarato che per lui l’intervento militare italiano nella ex-Jugoslavia rappresenta una pesante eredità recente del centrosinistra italiano.

Pur essendo figlio di un noto dirigenti del PCI degli anni ’70, non è certo “uomo d’apparato”: nel PD non rappresenta nessuna corrente e non è supportato, pare assurdo, da pezzi eminenti della struttura. Probabilmente qualcuno lo guarda con interesse, altri cominciano a temerlo. Per il momento però è uno che gira l’Italia e va nei circoli senza codazzi al seguito. Forse è una debolezza attualmente, ma può essere una forza in futuro. Brutalmente, di certo non rappresenta il “vecchio”.

Ha di certo il merito, per primo nel PD, di proporsi unitamente a un’operazione culturale che, per quanto i contorni sembrino sfumati, è quantomai cocente. Ai più sfugge forse l’importanza della forma partito rispetto alla necessità di avere un posto di lavoro (ci mancherebbe) ma chi fa politica conosce la necessità di partiti funzionanti e popolari (in quanto rappresentanti delle istanze di ampie fette della popolazione), soprattutto a sinistra. Che però, va da sé, non potranno più essere organizzati come nel dopoguerra in Italia, a partire dalla questione economica e delle risorse a disposizione. E in questo senso il documento di Barca si pone come spunto brillante.

Certo, sentendo parlare il catoblepa emerge il peso “teorico” della sua elaborazione. La prima domanda che ci si può porre, partendo proprio dalla TAV per farla semplice, è “impiegando lo strumentalismo democratico si sarebbe costruita la TAV?”. Quali sono i meccanismi che permettono in un Paese atomizzato in tante piccole autonomie come l’Italia di prendere decisioni impiegando meccanismi di maggiore partecipazione? Non si rischia la paralisi? Avremo tempo per approfondire…

Intanto mentre all’orizzonte si profila lo scontro tutto democristiano Letta – Renzi per la futura premiership, continuiamo a seguirlo. Chissà mai che…

In evidenza

Si rafforzano le larghe intese

Alla luce dei risultati dei ballottaggi amministrativi odierni Enrico Letta ha dichiarato:

“Il risultato va valutato nel complesso, nel primo, nel secondo turno e quello sicliano ma è un risultato che rafforza lo schema delle larghe intese e mi spinge e ci spinge a lavorare di più”

Purtroppo credo che abbia ragione.

Sicuramente ci saranno scossoni, soprattutto nel PDL. Ma che sarebbe meno sicuro del risultato se si tornasse al voto.

Resta sempre l’incognita del congresso del PD, ma i burocrati per il momento hanno tamponato la situazione e la “fiammella vitale” è tutt’altro che vigorosa.

Soprattutto, sono stati annientati anche dal voto gli oppositori dell’esecutivo delle larghe intese.

Il crollo verticale del M5S è tanto pericoloso quanto meritato.

Meritato perché –  mi sarà dato atto – ho sempre detto che Grillo e soci sarebbero stati condannati all’inazione.

Pericoloso perché fino ad oggi era l’unica forza che in fatto di numeri (certo più della Lega) avrebbe potuto condurre un’opposizione seria al governo. Cosa che beninteso, i grillini non hanno ancora dimostrato di saper fare. Ma da domattina saranno alle prese con l’evidenza di non esistere quasi più, di essere stati un’onda passeggera. Risuonerà l’eco delle parole di Bersani durante lo streaming. E molti di loro cominceranno a guardarsi in giro, alla ricerca di nuova collocazione.

Quindi il voto ha sancito che le Larghe Intese sono senza opposizione. Per questo ha ragione Letta.

In evidenza

“Sostegno con lealtà”

C’è una formula che impazza nelle interviste di esponenti di spicco del PD e che è, con il passare del tempo, sempre più indigeribile.

E’ la formula del “sostegno con lealtà al governo Letta”.

Trasuda sofferenza da parte di molti nell’aver dovuto ingoiare le larghe intese. E’ spesso accompagnato dal “governo di eccezione”. Quasi a rincuorarsi che sarà una parentesi.

Intanto però si parla di un altro partito, di altre priorità, dei nobili ideali e valori di una volta, dei modelli di sviluppo.

Ed è la parte del PD, beninteso, a cui guardo con interesse perché non mi riconosco in questo esecutivo e non ho ancora capito cosa avrebbe fatto di rilevante oltre al fatto di essersi insediato.

Però rispetto alle finalità alte di cambiare la matrice del PD, di intraprendere un percorso di elaborazione politica e culturale alternativa in grado di fornire all’Italia una nuova offerta politica, non vedo in campo le armi.

Per risollevare il centrosinistra dallo sfacelo in cui è piombato e che è stato sigillato con le larghe intese non si può pensare di sfoderare il fioretto dopo aver lanciato il guanto a mo’ di sfida. E non si può neanche giocare sulla gravità degli accenti.

E’ necessario fin da subito combattere con forza contro le intenzioni più pericolose di questo esecutivo, a partire dalle riforme costituzionali che non vanno assolutamente attuate perché, come dice Tocci “non tutte le generazioni hanno l’autorevolezza per cambiare la Costituzione” e riportare il Governo ad occuparsi di economia reale.

Non ci può essere altra strada. Altrimenti il Governo può anche andare a casa.

Qualcosa ha detto Epifani l’altro giorno.

Spero che se il PD dovesse vincere le amministrative anche ai ballottaggi, si imponga senza paura nel dibattito politico e detti l’agenda sulle tematiche forti del lavoro, dell’impresa e di una decente legge elettorale.

Se il PDL ci sta bene, altrimenti voto, senza paura.

Quindi chi vuole rappresentare al Congresso la larga fetta del Partito Democratico insofferente al Governo, venga fuori con decisione e non con le formule di rito.

Altrimenti saremo destinati a fare da spettatori all’imminente duello Letta-Renzi, uno spettacolo per cui francamente non ho intenzione di comprare il biglietto.

In evidenza

Cesano: da qui alle primarie c’è tempo…

Da qualche settimana ormai, mi sembra che Cesano si sia incanalata nei riti della campagna elettorale.

Anche per la strada c’è grande curiosità nel sapere quali sono gli scenari futuri, chi sarà il prossimo candidato sindaco del centrosinistra, se per sceglierlo si utilizzeranno le primarie, se si opterà per la rottamazione o se si andrà nella direzione della conservazione dei gruppi dirigenti.

Le elezioni amministrative si terranno l’anno prossimo. Quindi è razionale organizzarsi per tempo.

Il PD di Cesano ha già fatto una prima conferenza programmatica che, anche a detta della stampa, ha costituito un felice primo momento di confronto. Bene.

Entusiasmo e programmazione ci faranno bene senz’altro.

Mi pare però che soprattutto chi è coinvolto in amministrazione dovrebbe tenere i piedi un po’ più per terra.

E soprattutto tenere gli occhi ben aperti, senza lasciarsi trascinare dal clima e, a volte, da smodate ambizioni personali.

Per il 2013 – lo dico tutti gli anni ma penso di aver ragione perché lo scenario si ripete – siamo di fronte a un bilancio di eccezionale difficoltà.

Si parla di ben 1.5 mln di tagli rispetto all’anno scorso, tanto per essere chiari. Una cifra mostruosa per Cesano.

E peggio ancora sono gli obiettivi legati al rispetto del patto di stabilità: considerando le voci che concorrono a determinarlo, dovremo reperire  più di 3 mln di euro (!).

Quindi sarà anche vero che probabilmente faremo le primarie. Ma forse in questo momento sarebbe meglio concentrarsi su questo ultimo pezzetto di strada che ci manca, ed in particolare su questo bilancio, perché sarà l’ultima grande decisione che siamo tenuti a prendere in questi cinque anni.

E non possiamo permetterci il lusso di sbagliare.

In evidenza

La Grande Bellezza

articolo scritto per Cesaneremo

L’eccezionalità della Grande Bellezza risiede nella facoltà di questo film nel farmi cambiare idea. Uscire mezzo perplesso dalla sala per rivalutarlo il giorno dopo.

Partendo dal presupposto che da inesperto mi avvicino al cinema non alla ricerca di capolavori, ma di cose che abbia senso vedere, mi sento di consigliare la visione dell’ultima opera di Paolo Sorrentino.

Nel guardarlo, andava crescendo la mia insofferenza per il ruolo cucito addosso a Toni Servillo: che sia attualmente il migliore attore italiano non v’è dubbio, ma non lo deve più dimostrare. Il continuo soffermarsi delle inquadrature sulle sue espressioni – spesso mi pareva di vedere il De Niro che fuma l’oppio nel finale di “C’era una volta in America” – oltre al vistoso e ciclico cambio d’abito, restringeva sempre su di lui la pellicola. Come avviene in quasi tutti i film in cui l’ho visto recentemente.

Sostanzialmente recita da solo. E questo a lungo andare infiacchisce.

Se poi, come capita in “La Grande Bellezza” viene attorniato dal ciarpame degli attori romanazzi (Verdone, Ferilli in versione MILF con GPII tatuato sul braccio, più qualche personaggio secondario degno dei peggiori Vanzina), beh, la solitudine narcisistica di Servillo diventa imbarazzante.

In più non nascondo una certa repulsione a pelle per la prospettiva scelta dal regista: in un momento di crisi economica e sociale particolarmente acuta è fastidioso, quasi insolente, seguire il dissoluto Satyricon dei soliti parvenu romani.

Però con il passare delle ore mi sono convinto che l’opera sia un riuscito affresco dell’Italia di oggi e dell’essenza dei nostri problemi.

Sostanzialmente narra della vita mondana di un giornalista famoso, Jep Gambardella, una volta scrittore di successo, alle prese con un’esistenza scialba, scandita esclusivamente da feste, trenini, botulino e drink. Il talento del personaggio, un dandy 65enne, malinconico e disincantato naufraga in un mare di mediocrità e cocaina, che soffoca la vena creativa di Jep. Il giornalista se ne rende conto e procede a tentoni alla ricerca di un senso da dare alla propria esistenza.

Sullo sfondo pressante, continuo e asfissiante c’è la monumentalità muta, quasi giudicatrice, della Città Eterna. Dalla statua di Garibaldi con l’incisione “Roma o Morte” con cui parte il film ai colonnati e al Tevere.

Roma non è più la complice de La Dolce Vita, che si offriva con la Fontana di Trevi per il bagno della giunonica Anita Ekberg a un Paese che rialzava il capo dopo la seconda guerra mondiale. E’ invece il contesto eterno ed imperturbabile che vede ai suoi piedi una moltitudine di formiche che si agitano senza meta alla ricerca di un irrefrenabile edonismo.

L’Urbe è vicina, ma c’è un distacco inscalfibile, è una dimensione parallela. Un po’ come avviene sullo splendido terrazzo di Gambardella che si affaccia sul Colosseo – chissà se all’estero hanno colto il senso dell’appartamento in quella posizione… – ma che con il Colosseo non ha nessun punto di contatto. E’ come se non ci fosse. Un testimone silente dei festini.

Quello dipinto da Sorrentino è il quadro di un’Italia vecchia (e di vecchi, come quasi tutti i personaggi del film) e ferma, senza energia, che ripercorre senza guizzi i soliti riti, quasi rassicurata dal potere e dalle acquisite posizioni sociali (l’onnipresente cardinale, ad esempio).

Di giovani nel film solo l’ombra, rappresentata dallo psicopatico figlio di una aristocratica signora ossessionato dalla morte (poi morto). Gli altri, come si dice nel film “appena si accorgono di avere due neuroni se ne vanno all’estero“.

Ad essere sotto attacco è anche il mondo dei sedicenti intellettuali, non certo in grado di dare prospettive ma animati solo dal desiderio di vivacchiare, oltre ad essere distratti e perturbati dalla mondanità. Tra questi va annoverata anche l’arte: dalla performer che colpisce la testa nuda l’acquedotto romano (e con falce e martello sul pelo, chissà…) che viene dileggiata e scoperta nella sua inconsistenza; alle opere impressionanti ma senza senso di un bambina-artista sottratta ai giochi d fanciullezza.

Inoltre, mi pare che l’utilizzo da parte di Sorrentino dei soliti attori (i Verdone di cui sopra) sia al contempo una critica feroce agli stessi, quasi inconsapevoli: indescrivibile, a tal fine, è il dileggio a cui viene sottoposta Serena Grandi, completamente stravolta nelle sembianze rispetto al sex symbol degli anni ’80, a cui è stato chiesto di interpretare una donna di mezza età distrutta dalla cocaina (tanto da fissare le strisce bianche degli aerei nel cielo). In pratica ha dovuto mettere in scena se stessa.

La ricerca interiore del giornalista si incanala su due filoni.

Il primo è il ricordo di una storia d’amore di gioventù, consumata in una notte su un’isola, con una donna ormai deceduta che aveva scritto in un diario dell’amore eterno per il protagonista. Tra parentesi, l’immagine dell’isola dell’amore viene utilizzata ancora una volta per creare un forte contrasto con l’isola del Giglio, sede dell’arenata Costa-Concordia (un simbolo mondiale della decadenza del Paese).

E poi c’è l’irruzione dell’affascinante figura della Santa, una donna centenaria, quasi muta ma avvolta da un alone di straordinarietà, che vive di privazioni ma che dimostra di aver colto il senso della vita attraverso l’essenzialità:

«Sa perché mangio solo radici?»
«No, perché?» 
«Perché le radici sono importanti»

Battuta straordinaria ed efficace.

Però è qui che forse il film mostra un punto di debolezza, pur perdonabile considerando la lettura di un artista.

Il rilancio dell’Italia non passa per un ritorno alla spiritualità e ai sentimenti, declinata come senso religioso, seppur depurata dal moralismo.

Servono idee, progetti, visioni, spinte propulsive, entusiasmo, riflessioni, libri, discussioni e consapevolezza del proprio ruolo. E dei giovani che gli diano delle gambe.

In evidenza

Il doppio errore di Civati

Nutro notevole simpatia per Civati, ma leggendo i giornali di stamani ho strabuzzato gli occhi nell’apprendere che sarebbe contrario all’ipotesi di modificare lo statuto del PD per separare definitivamente la carica di segretario da quella di candidato presidente del consiglio.

Mi pare un provvedimento di buon senso, perché come detto, per come è oggi si schiaccia inevitabilmente il partito sulla prospettiva di governo, quando in realtà sarebbe buona cosa che le due sfere rimanessero separate. Anche perché, come è capitato (purtroppo) recentemente, quando il candidato presidente perde le elezioni è automaticamente delegittimato come segretario e il partito va alla deriva.

Aggiungo, nota mia, che i due ruoli comportano anche competenze diverse, spesso non incarnabili dalla stessa persona.

Parlo di “doppio errore” però perché leggo:

“se Epifani e Cuperlo vogliono candidarsi solo alla segreteria è una scelta loro”

non si tratta di una scelta legata ai destini personali, caro Pippo!

Auguro tutto il bene a Civati per la sua carriera, ma non può pensare che queste scelte siano cucite sui singoli e sulle loro spesso spropositate ambizioni.

Bisogna uscire da questa prospettiva e ragionare in maniera un po’ più collettiva e sul ruolo – sempre che ne abbia ancora uno – di questo partito nella politica italiana.

 

In evidenza

La Responsabilità ai tempi di Epifani

Dichiarazione odierna di Epifani:

“Non mi piace la sinistra che di fronte alle difficoltà scappa sempre. Per questo non si deve tornare a due sinistre, una che si fa carico delle responsabilità l’altra che non le vuole. Sel si era presentata con noi al voto, ma alla prima difficoltà ha sciolto il matrimonio. Si vede che non era un’unione molto solida”.

Oltre a sottolinearne l’inopportunità (quel “si vede che non era un’unione molto solida” sa molto di pregiudizio da veterodemocristiano), da un punto di vista comunicativo è un disastro: mettersi oggi, dopo le polemiche legate alla mancata partecipazione alla manifestazione FIOM, ad attaccare SEL significa semplicemente mettersi di fronte a un interlocutore che oltre ad avere migliori frecce ha pure l’arco.

Nota a margine, però, l’aspetto che più mi interessa è sempre il peso delle parole. Al di là della debolezza del ragionamento – pare quasi che Epifani non abbia capito  la straordinarietà (nel male) di ciò che è successo – la keyword è sempre “responsabilità”.

La responsabilità oggi sarebbe rappresentata dall’aderire a un governo di larghe intese? Perché?

Ovvio! E’ l’unica strada possibile e chi non è d’accordo è un pazzo, populista, demagogo e anche un filo antidemocratico.

Ma quindi, caro Epifani, fare opposizione a un qualsivoglia governo, a maggior ragione se contro ogni logica elettorale come questo, significa essere degli irresponsabili?

Si può ancora fare opposizione in democrazia?

In evidenza

OccupyPD, me medesimo e i “One-O-One-Network”

Sebbene io sia e resti molto critico rispetto al governo delle larghe intese e alle modalità con cui si è insediato, non mi è proprio riuscito di abbracciare la protesta di #OccupyPD.

L’ho trovata folkloristica ed inconcludente nelle modalità. Irrilevante e quasi apolitica nella sostanza.

Ammetto che è criticabile e curioso attaccare l’unica opposizione interna, di fatto, che ha avuto l’esecutivo partendo da una posizione di contrarietà a quanto abbiamo visto. E soprattutto per quanto fatto da me – nulla – per manifestare il mio dissenso. Non nascondo che in questo momento mi sento assolutamente sospeso e roso dall’attesa di vedere ciò che succederà (forse niente), quasi che debbano essere nuove vicende a guidare le mie decisioni.

Non mi sento rappresentato da questo governo. Non me lo si può chiedere.

Non è molto che faccio politica attiva (non da vent’anni, per lo meno). Berlusconi c’era già quando ho cominciato. Ed è sicuramente stato un punto di riferimento negativo.

Per anni sono state vezzeggiate le posizioni antiberlusconiane. A me non interessa: sono e resto antiberlusconiano. Si tratta di convinzioni profonde che non possono essere certo abbandonata per effetto di un Letta o di un Epifani.

Si è detto che l’antiberlusconismo sia stato un collante che ha tenuto insieme, in maniera artificiosa, posizioni anche difficilmente inconciliabili, a discapito della proposta. Può essere vero in termini generali.

Ma se sposto il ragionamento sul piano personale, non mi sento compreso nei celebri versi di Montale:

Codesto solo oggi possiamo dirticiò che non siamociò che non vogliamo

So cosa sono e ho una visione.

Proprio alla luce delle premesse, dei valori e degli ideali che mi hanno spinto a fare politica, so anche che questi sono inconciliabili con qualsiasi forma di alleanza con quella parte, che ripeto, non è il centrodestra, non è una coalizione di conservatori, ma un versione televisiva del vaso di Pandora. Ad ogni livello… da Ruby ai fatti di Trezzano s/N di ieri (decimata la giunta PDLina per corruzione).

Mi sarei aspettato che nel Partito Democratico la decisione di aderire alla sciagurata convergenza fosse innanzitutto maggiormente condivisa, non solo con la base ma anche negli organismi dirigenti, e, una volta presa, contestata da buona parte del partito.

Nulla di tutto ciò è successo.

Non si è ancora capito chi ha deciso e in quali occasioni ci si sia confrontati. Al momento abbiamo negli occhi una direzione nazionale, quella della resa incondizionata a Napolitano, che null’altro è stata se non una passerella.

Poi qualche mugugno ed è rientrato tutto. Un po’ di movimento, che ha spostato solo aria, di Civati.

E gli slogan “vogliamo i nomi” e “siamo più di 101” di #OccupyPD appunto.

E’ mancata però una parte strutturata all’interno del PD che abbia osteggiato la nascita del governo.

Peccato che molti pensino al significativo tradimento dei 101 come a un fatto isolato, quasi una istantanea follia collettiva, più un incidente di percorso che il dipanarsi di un disegno.

Ed è qui che casca l’asino (direbbe Di Pietro): dato per assodato che il disastro si è potuto realizzare per non aver vinto le elezioni, non posso nascondere, però, che non riesco a slegare tra loro tre episodi.

Gli ultimi due sono decisamente connessi: la rielezione di Napolitano e il governo delle larghe intese.

Ma il fatto inquietante che per primo ha fatto correre qualche brivido lungo la schiena è stata la decisione di Napolitano di chiedere numeri certi a Bersani anziché mandarlo allo sbaraglio alle Camere per la fiducia.

Siamo così sicuri, visti anche gli sviluppi della cronaca giudiziaria e i pesanti condizionamenti che ne derivano, che l’eventuale governo Bersani non sarebbe partito? Ed è chiaro che sarebbe stato – indipendentemente dalla durata – la tomba delle larghe intese. Si sarebbe chiuso, salvo fratture drammatiche ed inconciliabili, lo scenario che ha permesso il governo Letta.

E allora è così difficile vedere una comune strategia tra questi fatti?

Volete farmi credere che Napolitano non avrebbe voluto essere rieletto ma poi si è fatto convincere in mezzora da Monti e conseguentemente tutto è cambiato? Per piacere…

Come ha scritto Walter Tocci nel suo illuminante “Sinistra senza Popolo

 “I 101 non sono parlamentari indisciplinati, ma un pezzo del gruppo dirigente che ha imposto il ritorno all’intesa col Pdl, senza assumersene la responsabilità a viso aperto. L’esito finale della delegazione contrita al Quirinale e del governo organico tra Pd e Pdl per molti esponenti del Pd non è stato un incidente, ma la politica che desideravano sin dall’inizio, come si vede dalla soddisfazione ostentata da molti in questi giorni. La gravità della vicenda non è formale ma sostanziale.”

Non mi pare che quelli di #OccupyPD abbiano capito questo. Non furono (usiamo il remoto che dà più solennità) 101 pellegrini, ma la rete dei 101, altrimenti detta la “One-O-One Network” (per essere un po’ pop usando il nome di una radio).

E non è cosa di poco conto ma lo snodo storico attorno al quale si è ricomposto il quadro politico attuale e forse quello dei prossimi anni.

A parte la protesta e il solito attacco indistinto alla classe dirigente, dov’è la proposta? Come uscire da questa situazione? Come pensare che il PD possa nuovamente avere una prospettiva?

Leggo #OccupyPD come una forma imbelle di protesta. Addirittura utile perché a tal punto inefficace dall’avere effetti meno che fisiologici. Utile perché fa vedere che comunque nel PD ci sono giovani, gente che ci crede, che soffre e che ha passione e forse anche che è rieditabile un presunto spirito originario.

Ma intanto l’ennesima assemblea/passerella ha eletto Epifani con l’85% dei consensi come segretario. Senza nessun concorrente e deciso nelle segrete stanze. In maniera tale da arrivare al congresso senza disturbare troppo il governo e gli alleati.

Se queste sono le premesse del “Congresso Vero” che si sente invocare…

In evidenza

A Sotto il Monte la cittadinanza onoraria a 49 bambini stranieri

Da semplice originario del paese noto per aver dato i natali a Giovanni XXIII, non ho apprezzato negli ultimi anni l’operato dell’amministrazione guidata dal Sindaco Bolognini (una lista civica di centrodestra). Decisamente troppo cemento per quella che era un oasi di campi, cascine, vigne e boschi.

Ma ho trovato veramente di ampio respiro l’iniziativa che ha visto Sotto il Monte al centro della cronaca locale degli ultimi giorni. Decisamente controcorrente.

Domenica 12 maggio il sindaco ha conferito la cittadinanza onoraria al regista Ermanno Olmi e a 49 bambini stranieri che vivono in paese (leggi qui).

Olmi, bergamasco e autore di “E venne un uomo”, film sulla vita di Giovanni XXIII – significativo ma non certo fra i migliori della sua carriera (per me su tutti L’Albero degli Zoccoli e Il Mestiere delle Armi) – è stato soprattutto il narratore di un modo di vivere, di intendere la religione e la vita sociale e collettiva, tipica di queste zone una volta contadine (e povere) e alla base del messaggio giovanneo (c’è un pezzo di quella ruvida terra anche nel Concilio Vaticano II…).

L’occasione è il 50esimo anniversario della pubblicazione dell’enciclica Pacem in Terris, uno degli ultimi grandi gesti del Papa Buono che morì il 3 giugno 1963 (data che la nonna teneva che mi ricordassi da bambino…).

Ed è proprio il filo della fratellanza universale che lega Olmi, Sotto il Monte e i bambini stranieri. Bella anche la finezza di onorare nello stesso momento un grande personaggio e questi bimbi.

Bravi, davvero.

In evidenza

Epifani I

“Caronte”, data la situazione ambientale in cui versa il PD, è probabilmente l’epiteto più azzeccato per indicare il ruolo di Guglielmo Epifani.

Un compito gravoso che l’ex segretario della Cgil ha assunto con una massiccia dose di entusiasmo:

“Devo dire con grande onestà che non ho cercato questo incarico, ma davanti a tante sollecitazioni con la stessa fermezza dico che non potevo sottrarmi alla responsabilità”.

Scherzi a parte, se proprio devo esprimermi, ritengo che si tratti di un “traghettatore navigato”, sicuramente in grado di reggere le pressioni di queste settimane e probabilmente anche di mediare tra le tante posizioni esistenti all’interno del Partito. Certo, lo slancio è un’altra cosa. 

Di lui mi colpiscono due “etichette”.

La prima. Ex Segretario della Cgil. Non ho mai visto di buon occhio il fenomeno storico del travaso di sindacalisti nei partiti, quasi che l’attività sindacale sia funzionale ad un’avanzata carriera politica. Lo dico riconoscendo appieno il ruolo delle associazioni dei lavoratori, s’intenda. Ma mi piace l’idea dell’autonomia delle due sfere, in cui sindacati e partiti sono due mondi distinti, anche se comunicanti.

Probabilmente la sua elezione è anche figlia della volontà di tranquillizzare l’elettorato rispetto al mondo del lavoro in riferimento all’attività del governo (penso alla disoccupazione, agli esodati, ai precari…).

La seconda. Socialista (craxiano?). Il primo socialista alla guida del PD. Chi l’ha preceduto veniva o da Margherita (e DC) o DS (e PCI).

Sarà un caso, ma sembra quasi che nel momento di massima divisione tra le anime del Partito Democratico si debba ricorrere a un esponente dell’altro grande partito popolare, il PSI appunto, di quella che fu la Prima Repubblica. Quasi una figura terza di un partito terzo.

Chissà che più o meno inconsciamente anche questo elemento non abbia pesato sulla scelta. Di certo, si evince che da sabato la presenza socialista, vista quasi come incidentale nel PD in questi anni, non può più essere considerata marginale.

E’ stata sottolineata la transitorietà del suo incarico.

Partendo dal presupposto, forse filosofico, che tutto è temporaneo (perché comunque destinato ad esaurirsi), questa evidenza mi pare di nessun conto.  Anche perché non escluderei che chi l’ha proposto – forse il “tortello magico” intorno a Bersani con l’appoggio più o meno convinto sostanzialmente di tutto il partito – lo potrebbe vedere come un buon candidato anche per il congresso.

In sostanza, un film con il copione già scritto. I presupposti e il personaggio non lasciano pensare a rilevanti coup de théâtre.

Peccato che come spesso capita quando si parla di PD, quella che sembra una solidissima trama viene sconvolta nel giro di poche ore. E qui di variabili impazzite, basti pensare al “governo-nato-per-durare-ma-che-forse-non-durerà”, ce ne sono…

 

In evidenza

Un Governo di Sussidiarietà Nazionale

Ammetto che ascoltando la lista dei ministri del nascente governo, vi ho trovato qualche inaspettata sorpresa.

In questo i due presidenti del consiglio, Enrico Letta e Giorgio Napolitano, sono stati molto abili.

La prima sorpresa è stata la comparsa di Emma Bonino agli Esteri. Considerando che avrebbe scalzato Mario Monti e Massimo D’Alema, come non esserne contenti? Inoltre la leggo come una possibile investitura per il post Napolitano. Su molti temi, soprattutto economici, non condivido le posizioni della leader radicale, ma mi pare uno dei migliori profili politici italiani. Una delle poche personalità politiche alla cui immagine si associno posizioni, idee, aperture e non posticini, corruzioni, nomine ed intrallazzi.

Altro evento inatteso è stata la mancata nomina di Maurizio Lupi alla Sanità e di Mario Mauro all’Istruzione. I due ciellini sono stati comunque fatti accomodare rispettivamente alle infrastrutture (=appalti, Expo2015) e alla Difesa (probabilmente vedremo dei quadri di Caravaggio appesi negli F35…).

Infine, ultima (parziale) buona notizia: il delicato Ministero della Giustizia non è stato dato al PDL (si parlava addirittura di Schifani) ma a una donna equilibrata come Anna Maria Cancellieri, dal mio punto di vista uno dei pochi ministri salvabili del governo Monti.

Detto questo, arriviamo alla sostanza.

Si tratta visibilmente di un governo da destra-DC. Qualcosa di simil andreottiano. Inutile dire che non mi sento per niente rappresentato. Continua a leggere “Un Governo di Sussidiarietà Nazionale”

In evidenza

Intervento all’assemblea PD del 21/4/2013: analisi della sconfitta elettorale

Di seguito la seconda parte del mio intervento all’assemblea di domenica a Cesano. Fa seguito alla fotografia della situazione. Seguiranno delle considerazioni su Cesano che però, dato il momento, ritengo marginali.

Leggo la sconfitta patita alle recenti politiche come conseguenza di più elementi che vado schematicamente a sintetizzare sotto (l’ordine non riflette il peso):

La composizione del bacino elettorale. Non vuole essere una scusante, ma è più una premessa.

Sappiamo di cosa stiamo parlando? Innanzitutto l’Italia è un Paese che dal dopoguerra ha sempre diffidato della sinistra. E ha guardato con sospetto anche alla recente stagione del centrosinistra e dell’Ulivo. In più, non va dimenticato che ampie fette del Paese sono nelle mani della malavita organizzata.

La frammentazione politica. Questo è uno degli elementi di cui si parla meno. Il nostro quadro politico è rimasto bipolare in termini formali ma era almeno quadripolare in termini reali. Oltre al centrodestra e al centrosinistra c’erano il M5S e Lista Civica di Monti.

Su Monti vale la pena di fare un approfondimento: da mesi mi chiedo che interessi avesse una persona proiettata a fare il Presidente della Repubblica in pompa magna a mettersi alla guida di una nascente coalizione accreditata, nel migliore dei casi, di raccogliere il 15% (cosa che poi non si è verificata). Per le informazioni a nostra disposizione, è stata una mossa politica demenziale.

Ma Mario Monti è persona intelligente e accorta. Soprattutto non passa né da intrepido né da incosciente. Probabilmente una piccola coalizione di centro era necessaria nei piani di qualcuno. La sua presenza, mi sono convinto, rispondeva al chiaro intento di impedire al centrosinistra di governare da solo. Scusatemi per non aver definito il  “qualcuno”. Ma potete provarci voi ad indovinare. Credo che arriveremmo ad individuare più o meno agli stessi soggetti.

Gli errori di Bersani. Si dice che Bersani abbia perso le elezioni per un atteggiamento di eccessiva sicurezza. Chiunque di noi ha un amico che ci ha apostrofati dicendo: “avete perso elezioni già vinte”.

Io non la leggo in questi termini.

Come tutti speravo in un risultato migliore, ma sapevo, anche per le considerazioni espresse sopra (incognita Grillo e presenza di Monti), che al Senato difficilmente avremmo avuto la maggioranza (per effetto della disastrosa legge elettorale).

Gli errori di Bersani stanno in una campagna elettorale troppo timida, fatta nel chiuso dei teatri. Addirittura all’estero. Alcuni viaggi e alcune relazioni avevano lo scopo di “accreditarsi” presso tutta una serie di ambienti, ad esempio finanziari, che, a conti fatti, non hanno influenzato il voto.

Forse proprio per non urtare alcuni interlocutori, Bersani ha presentato un programma di vaghi intenti, non particolarmente definito e mai incisivo. Quanti “non detti” tra le righe. Sicuramente in buona fede. Ma la gente non ha capito (o l’ha capito al pari di alcune sfortunate metafore). Si pensi su tutto alla mancanza di una proposta in grado di entusiasmare l’elettorato.

E quale rapporto con l’agenda Monti (peraltro in quale oscura discarica è stata buttata?) e dei vincoli di bilancio? Le risposte di Bersani in tal senso hanno sempre dato l’impressione di una costrizione (era evidente la non condivisione) ma piuttosto di contrastare preferiva defilarsi, esprimersi in maniera evasiva. In sostanza, mai convincente.

Il Governo Monti. Alla base dei tentennamenti di Bersani nel poter prendere posizione circa i vincolanti impegni economici che il Paese ha assunto nei confronti dell’Europa, c’è stata anche la necessità di non poter di colpo contraddire quanto sostenuto come forza sostenitrice del Governo tecnico guidato da Monti. Che aveva lasciato segni indelebili nei ceti popolari per la riforma delle pensioni (ivi compreso il dramma esodati) oltre che per la riforma Fornero sul lavoro.

E, non dimentichiamocelo, verrà ricordato anche per quanto non fatto: mi riferisco ai promessi tagli ai costi della politica, all’abolizione delle province. Sappiamo come il non aver dato segnali chiari a tal riguardo abbia pesato sull’esito elettorale.

Gli interlocutori. E il problema degli interlocutori è forse “IL” problema. A chi ha risposto il PD delle sue scelte recenti e odierne? Con chi si è confrontato? Probabilmente a e con tutta una serie di gruppi di interesse e ambienti, al di fuori del PD, che sono stati in grado di esercitare influenze determinanti e spesso indebite. Mi riferisco a Confindustria, le banche, i grandi gruppi economici e finanziari italiani ed europei, la CEI, pure i sindacati. Quanto in tutto ciò si è tenuto conto della base (domanda retorica)? E quali spazi per un’autonomia di elaborazione?

Il Partito. Sul banco degli imputati c’è anche il ruolo del partito. Se il PD liquido di Veltroni si era rivelato “gassoso” in fatto di inconsistenza, quello di Bersani è stato un partito che all’atto pratico si è rivelato pesante, burocratico ma non funzionale.

Se ci si riferisce al rapporto con le federazioni, con i circoli, si può anche dire “sclerotizzato”.  Difficile trovare spazio per un coinvolgimento dei militanti in termini di idee, in termini di personale politico (nonostante qualche eccezione con le primarie) e pure di risorse economiche,  dato che è difficile che i vari livelli, “centro” e “periferia”, abbiano scambi.

Anche questo ha contribuito a dare del PD l’immagine dell’apparato, della conservazione, della casta e dell’oligarchia. Quando sappiamo che il voto ha premiato, come già detto, il cambiamento.

Quindi, oltre a non essere particolarmente definita la collocazione politica del Partito Democratico, sono pure incerto che si possa parlare di “grande partito popolare”. Popolare sì, o quantomeno abbastanza, rispetto alle fasce della popolazione che si sentono rappresentate. Ma non popolare rispetto a quanto il PD le rappresenti realmente, sia in termini programmatici, sia nei fatti, come dimostrato negli ultimi giorni.

Gli scandali e la stampa. Una stampa, penso in particolare al Corriere della Sera, che risponde ai gruppi di cui sopra, ha fatto di tutto per mettere in cattiva luce il centrosinistra e Bersani. Ne sono convinto. Rispondeva agli stessi intendimenti di non volere il centrosinistra al governo, per lo meno da solo.

Di certo, però, il PD in particolare ha contribuito con degli scandali in cui si è trovato immerso, a dare la sensazione di “non essere diverso dagli altri”.

Si pensi ad MPS, ai soldi dei gruppi regionali, al caso Penati. La stampa ha senz’altro contribuito poi a parificare l’effetto di tali episodi con la sistematicità della corruzione che caratterizza il PDL.

Si parla ora della ricostruzione del Partito. E’ un tentativo che dobbiamo compiere. Una strada quantomeno da provare.

Rispetto a ciò dobbiamo tenere in massima considerazione alcune questioni aperte dalla difficile soluzione.

La collocazione europea del Partito. Nonostante il tentativo di Bersani, il PD ancora non ha espresso un’adesione piena al PSE. E’ una scelta di campo che oggi si rende inevitabile per fare chiarezza. Segue una breve digressione personale.

Inconciliabilità delle posizioni. Quando ho aderito al PD non avevo alle spalle altre esperienze “partitiche”. Sono a buon diritto un “nativo democratico”. Tra ex Ds e Margherita vedevo differenze soprattutto in ambito etico, solo accenti sulla visione della società e dell’economia. In quel periodo il profilo valoriale cristiano-sociale incarnato da Romano Prodi sembrava un collante. Credevo che l’insieme dei nuovi che via via si sarebbero affacciati verso il PD, potesse superare queste diversità.

Oggi non è più quella la faglia che percorre il PD, a mio modo di vedere. La crisi ha accentuato le differenze, esacerbato i contrasti e, anche se non va più di moda chiamarle così, resuscitato lo scontro tra opposte ideologie sulla visione della società. Il fatto che più mi fa riflettere è che i poli più distanti di questo dibattito oggi sono incarnati da giovani. Non è un quadro esaustivo del PD e della sua composizione giovanile, ma in campo aperto le due proposte più visibili sono quelle di Renzi e dei Giovani Turchi. Antitetiche e inconciliabili, direi, se non ci fossero in mezzo la comune militanza e le logiche di potere (che stanno rovinando l’uno e gli altri). Nel frattempo abbiamo negli occhi, grondante di valori anche simbolici, il parricidio operato nei confronti di Romano Prodi, forse l’unica figura unificante degli anni di questo partito.

Come rimuovere le macerie? Sullo sfondo però ci sono ancora i detriti della vecchia classe dirigente. Quella inetta, incapace, sclerotizzante ed oligarchica. Quella che ha addosso ancora le ferite della caduta del Muro di Berlino. Che ha dovuto frettolosamente abbandonare gli ideali di gioventù per adattarsi a un mondo che di colpo è diventato anche il suo. E che oltre alla sindrome del perdente trascina con sé la necessità di farsi accettare. Dagli altri, dai vecchi avversari.

Per ricostruire bisogna prima rimuovere le macerie. Le macerie sono rappresentate da buona parte degli attuali dirigenti del Partito Democratico. Quelli che si sono seduti, che hanno anchilosato i meccanismi interni. Quelli che non ascoltano e che hanno praticato la cooptazione dei mediocri.

La rottamazione però si è rivelata un bluff, ma è innegabile l’esigenza di un vero rinnovamento, avvenuto solo in parte e, soprattutto, senza metodo. Nei volti e nei modi. Nella costruzione della classe dirigente.

Ossessione di governare. Dobbiamo anche superare l’ossessione di governare. Che non significa non voler vincere, ma significa riconoscere al partito un’autonomia rispetto al governo, all’amministrazione. Il PD in questi anni è finito schiacciato sotto le esigenze elettorali, le scadenze. Non è riuscito a proporre un adeguato lavoro culturale, a rodare i propri meccanismi interni, a migliorare la propria organizzazione, anche territoriale.

Sintomo di tale compressione, è, ad esempio, l’automatica candidatura del segretario a primo ministro, benché si tratti di due figure politiche diverse e faccia sì che irrimediabilmente, come vediamo in questa fase, le sorti del candidato premier siano indissolubilmente legate a quelle del Partito.

In evidenza

Intervento all’Assemblea del 21/4/2013: la fotografia

Nel mio intervento odierno non parlerò di Cesano e della situazione cesanese.

Non ha senso parlare del locale quando non si sa cosa sarà in futuro del Partito Democratico Nazionale alla luce dell’emergenza democratica che viviamo e della profonda crisi sociale per cui al momento non vediamo tracciata nessuna soluzione.

Non ha senso fare l’assemblea di condominio e parlare delle bollette dell’Enel sulle macerie di un palazzo da ricostruire.

Andiamo con ordine.

Oggi il PD si appresta a partecipare al secondo governo di larghe intese dopo pochi mesi. Il primo, sotto la guida Monti-Napolitano aveva contorni più soffusi perché gli era stato dato l’appellativo di “tecnico” per via della qualificata presenza dei vari Fornero, Terzi (quello dei Marò), Grilli e del “precoce” Martone.

Ci si presenta a questo appuntamento dopo aver rieletto Giorgio Napolitano, 88 anni, a Capo dello Stato.

Un mandato di spessore ma pesante alle spalle, caratterizzato da scelte complesse, a volte incomprensibili spesso dannose per il Partito Democratico e la sinistra.

A partire dalla regia del governo Monti per arrivare – qualche giorno fa – alla richiesta di voti certi a Bersani impedendogli così di andare alle camere e nominando i 10 saggi, ormai passati agli annali della letteratura umoristica.

Una scelta reazionaria e restauratrice a fronte di un voto che ha premiato la voglia di cambiamento che c’é nel Paese.

Scelta compiuta dopo un’assemblea in cui pochissime sono state le voci critiche e con il solo eroico Corradino Mineo, non certo uno dei leader del partito, che ha avuto il coraggio di esprimere un voto contrario.

Settecentotrentotto voti che certificano un vuoto incolmabile tra il palazzo e la gente. Una crisi di rappresentatività democratica senza eguali nella storia repubblicana. Una mancanza sofferta soprattutto a sinistra.

Semplicemente non andava chiesto questo sacrificio a Giorgio Napolitano. E, aggiungo, lui non avrebbe dovuto accettare.

Nei giorni precedenti, infatti il PD, oltre al debole nome di Franco Marini, ha sacrificato il proprio padre fondatore, Romano Prodi, la figura di certo più unificante del centrosinistra e della nostra formazione politica.

Sono d’accordo con chi ha letto nella bocciatura di Marini, la bocciatura di Bersani e nel tradimento a Prodi, il colpo di grazia al Partito Democratico patito per mano di 101 congiurati. Ordito non si ancora da chi… ma qualche idea sui mandanti ce l’abbiamo!

Volutamente non mi soffermo sulla fase della rincorsa a Grillo e sul rilancio di una eventuale proposta di governo seguente all’elezione di Rodotà.

Grillo ha giocato ad Achille e la tartaruga, tanto per citare il celebre paradosso di Zenone.

Più il PD si allontanava, più gli faceva credere che ci fossero le possibilità di avvicinarsi senza mai essere però raggiungibile. Il tutto è un gioco distruttivo utile soltanto a far esplodere le contraddizioni di un partito già diviso. In questo Grillo è stato molto abile.

I problemi del PD in realtà sono da ricercare nella mancata vittoria elettorale.

(segue…)

In evidenza

Assemblea PD Cesano 21 aprile 2013

Da tempo era convocata un’assemblea locale del Partito Democratico.

All’ordine del giorno c’era l’elezione del nuovo portavoce che accompagnasse il PD al prossimo congresso.

Alla luce della situazione nazionale, ho proposto questa mozione d’ordine, con lo scopo di rinviare tale elezione. Ritenevo che i fatti nazionali avessero la precedenza. Che senso aveva decidere oggi del PD di Cesano quando a breve verranno prese decisioni determinanti a livello nazionale?

Anche perché nel migliore dei casi, il congresso si terrà tra qualche settimana… che senso aveva questa fretta? Continua a leggere “Assemblea PD Cesano 21 aprile 2013”

In evidenza

L’ondata sentimentale

Non gliene frega a nessuno, ma sono quasi pronto per analizzare la situazione politica in termini complessivi, dal quadretto delle elezioni ad oggi. Discutere a caldo è sempre sbagliato e lo è ancora di più alla luce della situazione estremamente mutevole.

“Quasi” dicevo, quindi ora voglio solo condividere un’impressione sentimentale delle ultime ore.

Inutile che ripeta che tra i papabili presidenti della Repubblica la mia preferenza da settimane andava a Stefano Rodotà. Altrettanto banale aggiungere che trovo Franco Marini un profilo spento, privo di appeal.

Non so che ne sarà del PD, penso di sapere che ne sarà di Bersani. E giustamente.

Però sono scosso nel vedere in poche ore il PD che collassa su se stesso, un po’ come quei casermoni di stile sovietico una volta minati. Di fronte a Marini.

Neanche in male, l’ex scialbo sindacalista CISL meritava tanto.

Fotografo la situazione per come la vedo io.

Nonostante la pseudo-apertura di Grillo al PD con Rodotà, la strada del PD per fare un governo passa inevitabilmente per un patto di non belligeranza con le altre forze in Parlamento, PDL in particolare.

Il PDL vuole un Presidente che non sia inviso a Berlusconi. Una volta andata in porto questa operazione, probabilmente, sarebbe disponibile, non ad appoggiare un governo a guida Bersani ma a trovare le modalità affinché possa avere la fiducia in prima battuta.

Non sarebbe un “governissimo”, ma un governo di minoranza composto esclusivamente dal centrosinistra che al Senato dovrebbe, di volta in volta, trovare la maggioranza sui singoli provvedimenti (anche con il M5S). Questa – eccezion fatta per le elezioni – è ad oggi l’unica via praticabile per non governare con il PDL.

Quindi Bersani ieri ha proposto la pur fiacca e bolsa figura di Marini. Da notare, particolare non trascurabile, che lo stesso Marini è del Partito Democratico, quindi PDL, Lega, Lista Civica con Monti etc avrebbero votato (in realtà loro l’hanno fatto) un esponente, per quanto “democristiano”, del PD.

Questo mi pare lo sfondo.

La scelta anche a me non è piaciuta. Oltre a preferire Rodotà (non da ieri sera) credo che Bersani non sia stato in grado di gestire efficacemente il rapporto con i gruppi parlamentari su una scelta così dirimente.

Però.

Innanzitutto Franco Marini non è il mostro di Dusseldorf. Non sarebbe di certo il migliore Presidente della Repubblica possibile, ma non è neanche un nome che possa riempire le piazze e indignare i militanti (cosa che in realtà è successa). A me non risulta che in passato sia stato uno dei grandi interlocutori nel centrosinistra di Berlusconi. Non mi pare “l’inciucione” per intendersi. Peraltro Marini è un nome meno di spicco e urticante di D’Alema, Violante e soprattutto Amato. Ed è stato Presidente del Senato. Un incarico istituzionale.

Secondariamente non sappiamo in realtà  a che pro fosse presentato il nome di Marini. Siamo del tutto sicuri che Bersani lo volesse al Colle e non lo volesse bruciare? Perché tutta una serie di Bersaniani di stretta osservanza hanno o votato scheda bianca o Rodotà?

La terza condizione generale è che d’un tratto, come abbiamo scoperto di avere nel PD la “scandalosa ed impresentabile” figura di Franco Marini, si è avviato il processo di santificazione di Rodotà da parte di tanti che non sanno neanche come la pensa.

C’è stata un’ondata emotiva. Di cui anche io, non lo nego, ho fatto parte. Ieri mi sono divertito a fare “mail bombing” nelle caselle dei parlamentari del centrosinistra per invitarli a considerare la candidatura di Stefano Rodotà. Però lì è finita.

In piazza a manifestare e a bruciare la tessera sarei andato in caso di sostegno da parte del PD per il Colle di Dell’Utri, Berlusconi o Monti. Ma per Marini mi pare che la reazione sia spropositata.

Molti mi dicono: ma il problema è il governo con il PDL.

Nessun governo con il PDL. Semmai l’accordo – alternative non ne esistono – di permettere a un governo di centrosinistra (di minoranza) di insediarsi. Basterebbero alcune assenze al senato e la cosa sarebbe fattibile. Se questo è lo scandalo, sono in attesa di conoscere l’alternativa percorribile.

Ma queste le piazze, la gente e la base. Che come giusto che sia, si esprimono come vogliono.

E’ però il caso di approfondire la questione del comportamento dei gruppi parlamentari. Hanno fatto bene a lamentarsi della scelta. Ma se non erro la delicata assemblea di ieri notte si è chiusa con 222 sì, 90 no e 30 astensioni. Quindi in teoria, seppur non brillantemente, però era passata la linea.

Oggi il PD si è distrutto in parlamento. A ciò si aggiunga SEL che è andata dritta su Rodotà. Quindi è proprio la coalizione ad essersi frantumata.

Come ricordava giustamente oggi Carlo Porcari:

il punto 10 del programma Italiabenecomune, sottoscritto da elettori e da eletti delle primarie, prevede che in caso di dissenso si decida a maggioranza. Alla prima occasione la metà degli eletti lo ha disatteso, non c’è futuro né per il Pd né per la coalizione.

Credo abbia colto nel segno.

Il centrosinistra e il PD hanno mostrato una fragilità di fondo devastante. Sono saltati completamente i meccanismi democratici interni.

Capisco la delicatezza del voto. Ma mi pare di aver colto che l’importante per molti era la dimostrazione della purezza e testimoniare immediatamente di fronte alle piazze, sui blog e su Facebook di non essersi macchiati con il voto a Franco Marini.

Senza ragionare. Prima di tutto veniva il “io non l’ho fatto! Nessun accordo con Berlusconi.” Poi fa niente se qualcuno di loro – come qualche renziano – è pure d’accordo al governissimo con ministri del PDL e sostenuto dal centrodestra.

Marini è stato bocciato. Ma ancor prima di capire come siano veramente andate le cose e di chiudere l’elezione del Presidente della Repubblica è già partita la caccia alla testa di Bersani, individuata come soluzione prioritaria.

Decisioni chiare, immediate limpide. Questo chiede la fase.

Ma mai come oggi sono terrorizzato dal fatto che il “sacro furore” non permette di preparare strategie. Resto convinto che in politica la priorità sia capire. Fare delle analisi e studiare le mosse. Poi si contesta, poi si aggredisce.

Ma senza piani, strategie e tenuta della linea si viene fagocitati. Non c’è la politica.

Io non ho capito la strategia del PD e di Bersani. Da un lato lo dico in termini negativi, dall’altro in termini dubitativi.

Ora non sono nelle condizioni di esprimermi. Forse lo potrò fare ascoltando un po’ di più e vedendo chi sarà il nuovo Presidente della Repubblica.

 

 

In evidenza

Caso Piscina: il Consiglio di Stato da ragione al Comune di Cesano

La notizia del giorno è che il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso che la società Cesano Sport Management (concessionaria della costruzione della piscina) aveva presentato contro la sentenza del TAR Lombardia 1547/2012.

In sintesi, il TAR accoglieva la domanda comunale di risarcimento dei danni patrimoniali subiti dal complesso
sportivo, determinando questi in €. 71.679,30 per penali e in €. 1.136.772,84 per i danni veri e propri subiti dalle opere per il loro abbandono, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi di legge, mentre respingeva la domanda di danni non patrimoniali.

Inoltre (e soprattutto), riconosceva la legittimità della scelta  del Comune di risolvere il contratto per grave inadempimento consistente nel mancato rispetto del termine essenziale previsto dalla convenzione per la fine dei lavori (31/12/2008). Continua a leggere “Caso Piscina: il Consiglio di Stato da ragione al Comune di Cesano”

In evidenza

Cristallo: ecco la minoranza ma manca la proposta

Dopo lo scambio di battute a cui ho partecipato nelle ultime settimane in risposta a Salvatore Indino sulle pagine del Sì o No, anche il centrodestra cesanese si è sentito in dovere di dire la propria.

Capisco il gioco delle parti ed il fastidio della minoranza nell’essere stata relegata all’angolo (quasi delegittimata politicamente). Oppure, la necessità strategica – ma un po’ incomprensibile per chi sta all’opposizione – di difendere lo status quo scendendo in campo frettolosamente per prendere posizione più o meno convintamente.

Ma accetto di buon grado le critiche. Ci stanno e non mi sottraggo alla dialettica.

Mi incuriosisce però quanto dichiarato dal centrodestra e mi sto affezionando alla simpatica caricatura che viene fatta di me. Continua a leggere “Cristallo: ecco la minoranza ma manca la proposta”

In evidenza

Caffaro: non si fa allarmismo parlando di PCB a Brescia

Sarà l’influenza delle teorie di Chomsky sul mondo dell’informazione, ma in effetti non mi aspettavo che la puntata di Presa Diretta “Puliamo l’Italia”  sull’inquinamento da PCB nel bresciano causasse grande attenzione sui giornali.

L’unico quotidiano a parlarne in maniera diffusa è Il Fatto Quotidiano, testata criticabile finché si vuole, ma sicuramente più libera di altre, soprattutto quando c’è da contrastare qualche interesse particolare.

Molti non ne parlano. Il Corriere fa anche peggio, ossia relega la questione alla sezione, pur documentatissima, “Brescia” quasi che si tratti di cronaca locale, magari accanto alla notizia della festa di paese che ha richiamato tanta gente dalle valli o dell’anziano parroco della frazione di montagna che va in pensione.

Da quanto ho capito, mi pare che si tratti di disastro ambientale.

Conosco il peso dell’espressione, ma non penso di provocare eccessivo allarmismo di fronte ai dati incredibili mostrati nel corso della trasmissione del bravissimo Riccardo Iacona. Continua a leggere “Caffaro: non si fa allarmismo parlando di PCB a Brescia”

In evidenza

“Questa è la nostra prima esperienza”

Prima di una breve ma incisiva serie di stupidate (“noi non parliamo alle parti sociali, noi siamo le parti sociali” e “Minchia-bellazio-sembra di stare a Ballarò! Sono vent’anni che dite le stesse cose!”), la Lombardi (non ricordo il nome di battesimo e comunque non lo merita) ha premesso nella consultazione con il Presidente-del-Consiglio-Incaricato-Emerito Bersani: “Sa, questa è la nostra prima esperienza politica…”

A parer mio questa è l’aberrazione più pesante dell’attuale situazione .

Non è normale, secondo i miei vecchi schemi mentali, che una persona alla prima esperienza politica si trovi a gestire il peso di essere consultata per la formazione di un nuovo Governo (vale anche per il nostro Speranza, tutto sommato).

Non può non esistere un cursus honorum.

Quello che per inciso ha percorso Bersani (come scrivevo settimane fa, forse è una delle peculiarità del segretario PD).

Senza cursus honorum non manca solo l’esperienza. Manca anche la selezione.

Vi sembrerà tirata per i capelli ma non uso a caso l’espressione. Il riferimento è diretto all’antica Roma.

La vita media di un romano, immagino, sarà stata di 40-50 anni. Ebbene, a Roma l’uomo politico per arrivare al top doveva seguire una serie di incarichi di responsabilità crescente, durante i quali venivano valutate le sue qualità. E nonostante il sistema oligarchico, venivano selezionati i migliori.

L’incarico più prestigioso, quello di Console, era destinato (prima della riforma di Augusto) a uomini di età superiore ai 42 anni.

La Lombardi invece è arrivata dov’è perché trascinata da uno tsunami irresistibile. Si schianterà contro un albero.

In evidenza

La sfida è amministrare in anni difficili!

Siccome chiamato in causa più volte nel corso della lunga intervista che Salvatore Indino ha rilasciato al Sì o No in data 15 marzo 2013, mi sono sentito di dover rispondere. Ritenevo importante specificare ciò che penso rispetto all’attività teatrale del Cristallo e alla Festa Patronale, inquadrandoli in un’ottica più generale. 
Ringrazio Andrea Demarchi per l’ampio spazio concessomi. Dopo questa sovraesposizione mediatica a cui non sono avvezzo, torno ancora in letargo per un po’.
Sono lusingato, ma non sorpreso, dell’attenzione che S. Indino mi ha attribuito nel corso della lunga intervista riportata da Sì o No la scorsa settimana. Oltre a non amare la politica fatta di personalismi e a provare imbarazzo nel parlare di me, l’influenza che mi si accredita nel corso di questi primi miei 5 anni di amministrazione mi pare eccessiva. Non merito tanto. Lo ringrazio però per aver sollevato dei temi amministrativi che mi stanno a cuore e su cui mi sono battuto con tenacia assieme al mio gruppo consiliare…
Partiamo dalla situazione politica. Non vedo contraddizione tra il fatto che “la Giunta sia ancora in sella” e la forte voce, a volte critica ma decisamente propositiva, che arriva da parte consistente della maggioranza. Abbiamo garantito stabilità a Sindaco e Giunta (lo dicono i voti in consiglio) ma non crediamo alla politica dei falsi unanimismi. Siamo leali, corretti ma non appiattiti e spenti.
In questi mesi in consiglio comunali abbiamo assunto decisioni importanti. E, dati i numeri, il PD è sempre stato il primo sostenitore della Giunta. Non penso sia sfuggito a nessuno che abbiamo approvato bilanci via-via più difficili e gravati dai tagli ai trasferimenti statali, il Piano di Governo del Territorio, la delicata trattativa per riacquisire l’area della Ferrovia da parte del Comune, l’aumento dell’addizionale IRPEF. Si è trattato di operazioni spesso estremamente delicate in cui – voglio sottolinearlo – è spiccato il senso di responsabilità soprattutto dei “giovani”, consiglieri di ultima elezione che si sono caricati il fardello di scelte del passato di cui certo non sono stati responsabili (vedi la piscina, la società patrimoniale, il nuovo cimitero, la rinegoziazione dei mutui in essere).
Allo stesso tempo, nel contesto della discussione interna alla maggioranza, abbiamo fatto sentire la nostra voce, non per dividere, ma per costruire sintonia intorno a proposte che fossero partecipate da tutti. E così non sono sorte 3 torri da 20 piani in via Vespucci. Il parchetto di via Goldoni e i campi da tennis di via Rossini non sono stati rimpiazzati da condomini. Continuiamo ad avere un asilo nido in centro ed abbiamo mantenuto la biblioteca nella splendida cornice di villa Marazzi. Abbiamo pensato a un centro storico completato da un’area verde anziché da un’ulteriore struttura pubblica del costo di 2.5 milioni di euro (e chissà quanto per la gestione). L’IMU sulla prima casa non è stata applicata in aliquota massima (0.6%) ma allo 0.45%, avvicinandosi all’aliquota base. E finalmente siamo riusciti a dare ai giovani una struttura in cui ritrovarsi e sviluppare nuovi percorsi culturali benché sembrava che fosse diversamente segnato il destino del centro di via Trento.
Cosa avremmo distrutto nel fare ciò, se non qualche progetto non adeguatamente ponderato e qualche interesse particolare? Continua a leggere “La sfida è amministrare in anni difficili!”
In evidenza

21 marzo

Non so a quante ricorrenze sia legata questa data.

Ne voglio ricordare due, senza nulla togliere alle altre.

Innanzitutto è la Giornata della Poesia. Non sono un grande lettore di poesie, ma mi piacciono e ce ne sono alcune che mi rimandano ai tempi delle elementari e delle medie quando, spesso senza capire, si studiavano liriche a memoria.

Spesso, non sempre. Qualcosa, qualche verso, colpiva…

Allo stesso tempo oggi ricorre la Giornata contro le Mafie. Nel ’92 avevo 12 anni e venni travolto, anche lì senza comprendere più di tanto, da una ridda di informazioni sulle stragi.

Anche rispetto a ciò, non afferravo tutto ma avevo inteso che eroicamente erano saltati in aria due magistrati. Ricordo ancora le lacrime della prof di italiano nel dire: “Ma voi lo sapevate chi era Giovanni Falcone?”

Seguì una lezione del tutto straordinaria a scuola, fatta solo di quotidiani. Probabilmente scalzando lo studio di qualche poesia. Chi se lo ricorda… Continua a leggere “21 marzo”

In evidenza

Al Gore e il Finanziamento Pubblico ai Partiti

Dopo la sconfitta (pur avendo preso più voti) contro George W Bush nelle presidenziali del 2000, Al Gore è stato abilissimo nel calarsi nel nuovo ruolo di opinion maker. Ha sensibilizzato l’opinione pubblica mondiale sul tema del riscaldamento globale (vincendo meritatamente un Nobel per la Pace) e dalla sua posizione ha la facoltà, che la politica non concede, di esprimersi liberamente.

In un’intervista del 31 gennaio scorso, in cui ho avuto modo di imbattermi solo oggi, l’ex vicepresidente americano descrive la crisi della democrazia americana come l’effetto del dirottamento di questa da parte dei gruppi di interesse. La causa, a suo dire, è l’influenza dei soldi.

La virtù della nostra democrazia era il dialogo tra i cittadini, da cui nascevano le decisioni giuste che negli ultimi due secoli ci hanno consentito di emergere. Da un po’ di tempo, però, prendiamo decisioni stupide (…) Conta più tagliare le tasse ai ricchi, che permettere alla gente di fare la spesa. Per non parlare di Wall Street: il tempo medio in cui si teneva un titolo era 7 anni, ora il 60% degli scambi dura meno di un secondo. Solo speculazione.

Ciò che può essere sconvolgente per un cittadino italiano che segue il dibattito politico di questi giorni è la soluzione paventata da Al Gore (testuale): il finanziamento pubblico delle elezioni al 100% Continua a leggere “Al Gore e il Finanziamento Pubblico ai Partiti”

In evidenza

Mainardi non giochi a fare il Grillino

“E’ ufficiale: il comune chiede la tangente a chi vuole aprire una nuova attività commerciale”

Questo è il titolo di un articolo del Sì o No dedicato a una lettera inviata dal capogruppo de La Svolta, Massimo Mainardi.

Oltre all’inquietante incipit, nel testo si fa peraltro riferimento a Finmeccanica e a fatti che nulla hanno a che vedere con Cesano e con il tema che si proponeva di trattare: il Piano delle Attività Commerciali, parte integrante del Piano di Governo del Territorio.

Si tratta di un tema delicato, che ha richiesto competenze di professionisti per la redazione del documento (come si evince dalle prime pagine dello stesso).

Così delicato che – posso mostrare a chi vuole i verbali – lo stesso Mainardi nel corso dei lavori della Commissione Territorio non ha mai proferito verbo su tali norme. Non gliene faccio una colpa. Io che a differenza sua proprio non ho nulla a che vedere con il settore urbanistico, faccio ancora più fatica di lui. Continua a leggere “Mainardi non giochi a fare il Grillino”

In evidenza

Sui Befana-Bond

Non essendo ancora sufficientemente “freddo” per fare l’analisi del voto, mi soffermo sul caso dell’anno a Cesano: la lotteria della Befana.

Finalmente si è discusso dell’interpellanza presentata da Santi Raimondo (Fratelli d’Italia, da non confondere con Fabio) relativamente alle polemiche intercorse tra la Nuova Associazione Quartiere Giardino e i consigli di circolo scolastici circa il parziale versamento del ricavato dell’iniziativa benefica.

Per chi non lo sapesse, a fronte di una dizione sui biglietti che recitava

“il ricavato verrà devoluto al fondo si solidarietà delle scuole di Cesano Boscone”

su 1450 euro raccolti solo 300 sono stati destinati alle scuole.

Non essendo laureato in economia e commercio, come del resto Giannino e buon ultimo Crosetto, non mi interessa imbarcarmi in una disputa sul significato della parola “ricavato” – mi fido di quanto dice il primo dizionario trovato in rete – ma vorrei esprimere qualche considerazione. Continua a leggere “Sui Befana-Bond”

In evidenza

L’opinabile discesa in campo di Renzi

Per me, oltre ad essere sbagliata, è incomprensibile la mossa di Renzi.

Avrebbe potuto aspettare le prossime elezioni, invece si propone fin da subito come guida di un governaccio di larghe intese (comprendendo anche il PDL). Sicuramente questo non farà piacere alla base.

Dice infatti al Corriere:

Se per riuscire a superare lo stallo che si è creato e che, certamente, non fa bene al Paese, il Pd si presentasse con più nomi di possibili candidati alla presidenza del Consiglio e se fra quei nomi ci fosse anche il mio, allora io ci penserei seriamente». A fare che? Non il candidato premier di una coalizione di centrosinistra alle prossime elezioni, ma il possibile presidente del Consiglio di una grande coalizione, che comprenda Grillo e anche Berlusconi, e che riesca finalmente ad avviare «le tante riforme da fare». «In quel caso potrei accettare di prendere in mano la situazione. So bene che ci potrei rimettere le penne, che mi converrebbe lasciar perdere, ma è una sfida che mi avvince».

Evidentemente ritiene che non vi siano le condizioni per andare presto al voto. Di certo la sua mossa destabilizza ulteriormente.

Curioso che la sua posizione collimi con quella espressa ieri da D’Alema mentre sia divergente con quanto sta cercando di fare Bersani.

In evidenza

Il Voto Consapevole al Centrosinistra

Se vi ritenete sideralmente lontani dal PD e dal centrosinistra, smettete pure di leggere: questo post non fa per voi.

Se invece vi sentite progressisti, anche se avete dei dubbi sul PD, su Bersani, su Vendola, pensate che sarebbe stato meglio Renzi o magari voterete Grillo in segno di pura protesta, magari vi può interessare quanto sto per scrivere.

Si fa un gran parlare in questi giorni di “voto utile”. E’ un’espressione che non mi piace. Ognuno voti ciò che vuole per le finalità che con il suo voto vuole raggiungere.

Preferisco l’espressione “voto consapevole”, come a dire che è giusto votare ciò che si ritiene più opportuno ma dopo essersi informati sulle possibili conseguenze. Credo sia più un dovere che un diritto.

Parto da una prima considerazione: delle tre schede che avremo in mano nei seggi, quella più importante sarà quella gialla. Quei pezzi di carta, più degli altri due, decideranno cosa succederà in Italia.

Per via della nota legge elettorale suina voluta dal tandem PDL-Lega, il premio di maggioranza si deciderà a livello regionale. Pertanto il “voto giallo” in una regione popolosa come la Lombardia è quantomai determinante.

Nel caso in cui il centrosinistra non dovesse vincere al Senato, è fortemente a rischio la possibilità di fare un governo. Continua a leggere “Il Voto Consapevole al Centrosinistra”

In evidenza

Trasparenza amministrativa: la Carta di Pisa

Articolo per il prossimo numero del Cesano Notizie

Il D.L. 174/2012, recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, comporta anche rilevanti obblighi relativamente alla trasparenza amministrativa. Nella stesura dei connessi regolamenti, però, come sottolineato dall’ANCI, si è aperta una questione circa gli adempimenti a cui sarebbero tenuti i singoli amministratori per via di possibili discrepanze con quanto previsto dalla legge sulla privacy. Pertanto rispetto a tali aspetti le norme sono di natura provvisoria.

Il nostro gruppo, al fine di favorire la massima trasparenza già in questa fase anticipando le scadenze previste, ha deciso di sottoporre all’attenzione del consiglio comunale del 25 gennaio, la Carta di Pisa di Avviso Pubblico.

Tale documento – sottoscrivibile a titolo personale dai singoli amministratori pubblici – prevede una serie di norme molto stringenti volte a favorire la massima trasparenza e per promuovere lo spirito di condivisione dell’attività politica.

Oltre a rendere pubblica la propria situazione reddituale e patrimoniale sul sito del Comune (palesando anche eventuali conflitti di interesse), la Carta prescrive agli amministratori una serie di buone pratiche che vanno dall’impossibilità di assumere qualsiasi incarico negli anni successivi al mandato presso imprese che hanno lavorato per l’ente alle immediate dimissioni in caso di procedimenti giudiziari a proprio carico di una certa rilevanza.

Anche il Sindaco ha seguito la rotta condivisa dal gruppo, prendendo impegni molto chiari in tal senso. Ci pare un gesto di serietà e da sottolineare, soprattutto alla luce del fatto che sta per entrare nel suo ultimo anno di mandato.

Faremo in modo che nelle prossime settimane le disposizioni previste dalla carta vengano assorbite dall’apposito regolamento comunale in modo che tutti gli amministratori si adeguino a tali norme.

In evidenza

Normalizzazione Formigoniana

Stavo riflettendo su come si muovono i vari inquisiti nelle liste del PDL.

Oltre a Berlusconi di cui tutti parlano, mi sembra interessante il caso del Presidente della Regione Lombardia dimissionario, Roberto Formigoni (e pure di Renata Polverini, candidata alla Camera).

Benché sia il vertice di un sistema di potere che in questi mesi è stato falcidiato dalla Magistratura per la sua capillare ed organizzata corruttela, è al secondo posto nelle lista del PDL al Senato in Lombardia 1.

E’ evidente che nella decisione di candidarlo ha pesato la fitta rete di ricatti incrociati, che ha reso tale gesto necessario al fine di assicurare una precaria salvezza a tutti. La logica è quella di essere uniti dalle malefatte e dalla conoscenza dei rispettivi segreti: su queste basi nasce una convergenza di interessi. Quanto di male fatto in passato obbliga ad intrecciare i propri futuri. Continua a leggere “Normalizzazione Formigoniana”

Spunti per una possibile analisi del voto

Che la giornata sia complicata non ci sono dubbi. Che il risultato sia ampiamente deludente altrettanto. Chi però ha responsabilità dirigente, a qualsiasi livello, deve cercare di condurre qualche riflessione, lasciando da parte l’emotività e guardare comunque al domani.

Il risultato è chiaro, ma dovremmo cercare di scongiurare le iperboli.

La destra ha vinto grazie a un rilevante risultato personale di Giorgia Meloni e all’affermazione di Fratelli d’Italia. Ciò che rimane del centrosinistra ha patito una delle sconfitte più pesanti sicuramente. Non è scomparso però.

La destra vanta una vittoria piena ma non stravince: unica vera coalizione ed in predicato di andare al governo da mesi, non ha convinto la maggioranza degli italiani – non è un dettaglio – e potrà contare su numeri certi nelle due camere grazie al combinato disposto della legge elettorale, dell’aver avuto strada spianata nei collegi uninominali e della riduzione del numero dei parlamentari. Ricordate che qualche giorno fa si parlava del rischio di modifiche costituzionali senza referendum con il 2/3 dei seggi: ecco non avverrà.

Gli stessi numeri di Fratelli d’Italia sono impressionanti se guardiamo al trend storico, ma sono ben lontani dalla propulsione dei boom recenti dei 5 Stelle, della Lega con Salvini, del PD con Renzi (pur se maturati alle europee). Non solo: in parte il successo di Giorgia Meloni avviene alle spese della Lega, come ben sanno i governatori leghisti del Nord e che raccoglie sicuramente un risultato negativo… Non dimentichiamoci, peraltro, che la vittoria è maturata nel contesto della più bassa affluenza della storia repubblicana. Il cattivo stato di salute della nostra democrazia è un problema di tutti, chiaramente.

Il neo-governo si troverà fin da subito a dover affrontare una strada in salita. Dubito, e mi dispiace per l’Italia, che dietro agli slogan ci siano soluzioni per affrontare le questioni di grande attualità (bollette, energia, crisi economica-industriale-sociale, guerra, pandemia?). Vedremo quanto sarà solido l’accordo elettorale a fronte di una maggioranza consistente ma non oceanica. Buon lavoro…

Il voto ha premiato chi ha preferito la chiarezza e la linearità delle posizioni e si è tenuto alla larga dai governi tecnici. Ricordo che quando stava nascendo il governo Draghi riflettevo che sarebbe stato un errore lasciare a Fratelli d’Italia l’esclusiva dell’opposizione all’esecutivo, con i tristi presagi che evocava per via in particolare della precedente esperienza montiana. Vero è che complessivamente – e lo dice un critico della prima ora – quel governo non ha fatto poi danni. Anzi, ha dalla sua aver ben gestito la vaccinazione di massa anticovid e di aver consolidato il PNRR. Il popolo però non ha gradito perché frutto di accordi troppo ampi che hanno confuso i rispettivi elettorati, perché non espressione di quanto detto dalle urne e per la “stanchezza” che le regole per il governo della pandemia hanno comportato.

Partito Democratico e Lega sono stati puniti per questo nelle urne. Il PD in particolare ha portato in dote la sua “responsabilità” nei governi con alleanze variabili degli ultimi anni, dando l’impressione di essere un liquido in grado di prendere la forma del contenitore rappresentato dai governi in cui è transitato. Ci sono valori di riferimento e capacità di governo ma fuori si dà l’idea di essere annacquati. Pesano come macigni alcune scelte degli scorsi anni quali la riforma Fornero ed il Job Act che, seppure non prese in autonomia, sono state addebitate senza sconti dall’elettorato di sinistra.

Bisogna mettersi in testa una cosa semplice e farne un mantra: senza vincere nettamente le elezioni, senza poter sviluppare il proprio programma in modo sostanziale, non si deve partecipare a nessun governo. La responsabilità non paga ed anzi risulta deleteria. Il PD deve sviluppare un’allergia per qualsiasi governo tecnico. Non è concetto da poco: vai al governo se convinci il Paese. Altrimenti sarai sempre vissuto, pur nella legittimità costituzionale, come un usurpatore. Amara verità ma è così e dobbiamo dircelo.

Abbiamo vissuto mesi di una narrazione tossica sul governo Draghi e dico “giustamente” nelle urne non si ritrovano i giudizi altisonanti dei giornalisti schierati e degli osservatori internazionali. Anzi, hanno infastidito e allontanato perché la realtà che si è colta è ben diversa. La gente non era in luna di miele con quell’esecutivo, non ha visto nessun governo dei migliori e non si è riconosciuta in nessuna agenda Draghi, concetto filosofico ed essenza mitologica che è servita per drogare il dibattito venendo blandita come una clava per impedire qualsiasi interlocuzione con il Movimento 5 Stelle.

Il M5S ha ridotto i danni e sicuramente Giuseppe Conte si è preso una bella rivincita (facendo anche il paio con il vero “Mandato 0” di Luigi Di Maio). Però non ci sto a parlare di grande risultato, addirittura di affermazione. Vero è che abbiamo assistito a un bel recupero e al netto dei sondaggi l’abbiamo percepito. Però stiamo parlando di quella che era la prima forza nel 2018 con il 32% e che ha dimezzato il proprio consenso. Sono stati abili a smarcarsi dal governo Draghi, senza dubbio, ed è emerso a mio vedere l’apprezzamento personale ancora alto dell’ex Presidente Conte. Il M5S ha avuto anche la capacità di far passare all’elettorato le sue proposte chiave, già misure dei suoi governi, quali reddito di cittadinanza, bonus 110% e regole di democrazia interne. Ha battuto su queste come mantra e ne ha tratto giovamento, mimetizzandosi anche come forza progressista (dopo che per anni non era stata collocabile) ed assistenzialista agli occhi di un Sud sempre più disorientato. Ha anche avuto il forte sostegno – se non l’adulazione a tratti – di un corposo gruppo di giornalisti quali Travaglio, Scanzi, Barbacetto e altri (per semplicità, il gruppo de Il Fatto Quotidiano) sempre presenti come opinionisti in ogni dibattito televisivo. Sempre a favore del trendy M5S, sempre a bastonare il PD. Non ne faccio una critica, anzi lo dico con invidia…

Veniamo al dente dolente. Il Partito Democratico ha raccolto un pessimo risultato che però sarebbe forse sbagliato definire disastroso. Infatti raggiunge quota 19%, segno che diversamente da alcuni cugini socialisti europei ha comunque uno zoccolo duro non trascurabile. Per dovere di cronaca bisogna anche ricordare che con il suo magro risultato è anche il secondo partito sia nel voto sia nel numero di seggi conquistati in parlamento. Non voglio essere rassicurante, ma c’è qualcosa che ci dice che nell’epoca della volatilità assoluta del voto, il partito democratico per qualche motivo non crolla.

A farmi paura sono le prospettive perché nutro in questo momento così tanti dubbi dal non avere certezze su come muoversi in futuro.
Intanto da sempre penso che proprio la formula abbia in sé qualcosa che non funziona. E’ un unicum in Europa e si ispira al modello americano, pur in un sistema elettorale completamente diverso. La vocazione maggioritaria è ampiamente superata da questi numeri e dalla parcellizzazione politica: se c’è una destra, possiamo forse parlare di centrosinistra o Ulivo come cappello che raccoglie tutto ciò che ne resta fuori? A me non pare, per la pochezza numerica di ciò che c’è a sinistra (sempre che non consideriamo i 5 stelle da quella parte) e alla luce della discreta affermazione del nuovo centro di Calenda-Renzi.

C’è un equivoco fondativo del Partito Democratico che non è mai stato affrontato. Giunti quasi all’ora del redde-rationem con il congresso, dopo il drammatico addio di Nicola Zingaretti “Mi vergogno di questo partito” l’attuale classe dirigente posticipò qualsiasi riflessione mettendosi nelle mani del traghettatore Enrico Letta, incaricato ed abbandonato al suo destino.

Non riesco più di tanto a prendermela con Letta in queste ore. Ho grande rispetto dell’uomo e delle sue qualità culturali, etiche e di governo. Vedo i limiti di una campagna elettorale fatta girando tanto e a vuoto, della politica delle alleanze deficitaria, della mancata capacità di far sedimentare 2-3 argomenti forti nell’elettorato: un continuo cambiare argomento e parlare di fiamme nei simboli, di Bella Ciao etc. Avrebbe dovuto avere gli artigli della tigre, non gli occhi. Purtroppo non ha graffiato.

Però è stato lasciato solo a fare campagna elettorale. Non una dichiarazione a fare da sponda da parte dei cosiddetti big: ha affrontato tutte le polemiche e a tutti ha risposto lui. Le figure che oggi ricoprono le posizioni a lui più prossime – a partire dalla Deborah Serracchiani di ieri sera – non mi sono sembrate all’altezza del compito onestamente e mi pare che i cosiddetti capicorrente siano rimasti estremamente parati: non ricordo ad esempio un dibattito televisivo da luglio ad oggi che abbia visto la partecipazione di qualche nostro ministro uscente. Avrò forse visto poca TV?

Mi domando che classe dirigente abbia oggi il PD e in tutta sincerità credo che non sia stata adeguata. Il congresso deve sviscerare temi di fondo, ci deve dare una nuova linea politica ma deve anche rivoluzionare i vertici del partito. L’aria fresca non basta e soprattutto non serve continuare a sfilare i segretari nazionali come se fossero petali della margherita se poi si continua a tenere in mano il gambo…

C’è l’occasione di rigenerarsi facendo opposizione, leale ma senza sconti, al nuovo governo della destra. Un’attività utile perché affina la retorica, permette di avere più margini di manovra, richiede di uscire dal palazzo, di andare in mezzo alla gente e di seminare le proprie idee con maggiore forza e chiarezza.

Basterà? Non lo so.

Dobbiamo superare il PD per i tanti equivoci? Anche qui dobbiamo rifletterci insieme ma non ho in questo momento certezze. E’ vero che passando da un’elezione all’altra il PD stia progressivamnte perdendo consenso. Le scelte impopolari (e alcune sbagliate) degli anni scorsi sono un marchio.

C’è la tara del 18-19% che torno a dire “è un patrimonio” e che non possiamo perdere ma si fa fatica a prevedere come questo brand, pur rinnovato, possa spiccare il volo e conquistare nuovo credito presso l’elettorato. Dall’inizio sostengo che pure nome e simbolo non mi hanno mai pienamento convinto: “democratico”… perché? Cosa aggiunge? Ed i colori della bandiera… un partito-istituzione, già a quel livello grafico. Mi rendo conto che qualsiasi ragionamento di questo tipo possa essere rischioso perché serve responsabilità e mettere al sicuro quelle certezze, pur poche, che si hanno. Vedremo.

L’aspetto però che mi preoccupa maggiormente è il rapporto con il Paese. Mi spiego. Quest’estate leggevo del rapporto Ipsos “Gli italiani e il senso civico”. Ne emergeva un quadro tanto inquietante quanto realistico (e da me condiviso dalla mia visuale da sindaco). Alcuni dati di quell’analisi sono terrificanti: solo 2 cittadini su 10 ritengono che sia inaccettabile «abbandonare rifiuti in un luogo pubblico», «offrire bustarelle cambio di favori», «imbrogliare il fisco» o «costruire abusivamente una terrazza o un locale». Allo stesso tempo 6,6 cittadini su 10 ritenevano grave «avere rapporti sessuali senza essere sposati». Tre volte tanto.

Questa è la fotografia del Paese a cui abbiamo chiesto di votarci. E’ chiaro che se ti presenti promuovendo la legalità, il rispetto delle regole, il senso di responsabilità verso gli altri, la lotta alle mafie, la convinzione che la comunità sia qualcosa che va oltre il proprio uscio di casa, la crescita diffusa, la solidarietà, il valore dei beni comuni forse è più difficile farsi votare.

Autoassolutorio? No.

Anzi, penso che su questo ci sia spazio per l’azione di un partito. Tra i pochi meriti che il PD ha sicuramente è l’evoluzione repentina, solida, matura dell’opinione pubblica italiana in fatto di diritti civili. Non è dipeso solo dal Partito Democratico, ma sono sinceramente convinto che abbia avuto grossi meriti in un lavoro culturale, di formazione e sensibilizzazione che in pochi anni ha dato i suoi frutti. Il PD però non ha condotto questa opera su gran parte degli altri temi. Non ha costruito consenso su lavoro, ambiente, scuola, economia perché forse ancora non ha un pensiero così compiuto e sicuramente le energie del governo e del palazzo tolgono forze per questa attività che reputo fondamentale.

Uno degli aspetti che più mi colpì della lettura de “Il Sarto di Ulm” di Lucio Magri è stata l’attenzione che ha dedicato al ruolo che recitò a riguardo Togliatti nel dopoguerra. Altro mondo, è vero. Altri ideali, altre modalità di comunicazione e il PD non è il PCI. Ma non c’era meno ignoranza di oggi: tanti erano addirittura analfabeti. Beh, Palmiro Togliatti razionalizzò la necessità di radicare nel partito le idee di Gramsci prima e nell’elettorato poi, non esattamente un autore facile per tutti. Eppure lo fece.

Non basta aver letto un libro per farne un’ideologia: devi rendere le idee accessibili ed identitarie per un popolo che ti segue. Serve creare dibattito intorno a ciò in cui si crede e bisogna “martellare” per mesi, anni senza timore, essendo forti delle proprie posizioni. Non basta strutturare un pensiero – già non male, eh – ma devi forgiare un popolo.

(Cesano Boscone, 26/9/22)

Operazione LIDL: e Cesano cosa ci guadagna?

Nel corso della seduta del 17 dicembre scorso, la giunta comunale ha approvato il permesso di costruire convenzionato relativo all’operazione di un nuovo negozio LIDL in via Raffaello Sanzio, per una superficie commerciale complessiva di 2.200 mq. 
Oggi Fratelli d’Italia – in un post “grinchianamente” natalizio – critica aspramente l’operazione, nell’ormai consueta visione medievale del comune, come se fosse una realtà isolata e avulsa dal contesto metropolitano, e con l’idea che qualsiasi superficie commerciale superiore ai 250 mq comporti la chiusura dei piccoli negozi (“il colpo di grazia ai commercianti cesanesi”). 
Ci tengo comunque a ringraziare FdI perché mi dà modo di spiegare un’operazione urbanistica rilevante, che dal mio punto di vista avrà ricadute molto positive sul territorio.
La mezza verità è che sicuramente l’apertura di nuove strutture impatta e concorre con quelle esistenti: non sono certo io però a poter determinare quali siano gli effetti macro della media (non grande, in questo caso) distribuzione sui negozi di vicinato. Credo che il nuovo LIDL impatterà di più sui “pari-peso” Ipercoop LaTorre, Gigante e forse Esselunga. 
Soprattutto – ma su questo Fratelli d’Italia fa finta che il comune sia una rocca inespugnabile grazie alle possenti mura ed isolata dal resto del mondo – si ignora che se una nuova struttura commerciale non ha possibilità di aprire a Cesano, aprirà appena al di fuori del confine, privando il nostro ente dei benefici dell’operazione e – nella loro logica – mettendo comunque in difficoltà i piccoli commercianti. 
Va anche precisato che l’intervento non è precisamente legato a una scelta voluta dall’amministrazione – non siamo di fronte a un ambito di trasformazione – ma che addirittura non era prevista in sede di revisione del PGT, pur risultando comunque consentita dallo strumento di pianificazione. Non ho problemi a dire, che, qualora ci fosse stata presentata a suo tempo, sarei comunque stato incline ad accoglierla perché ritengo abbia diversi punti di forza. Vado con ordine.

DOVE SI COSTRUISCE. Nel famoso borgo di Cesano Boscone, il nuovo punto vendita non sorgerà in un’area finora destinata al pascolo della capra orobica, ma prenderà il posto di una parte della proprietà dell’ex Fisar, andando a sostituire un capannone, senza nessun consumo di suolo e pure sfruttando volumetrie inferiori. Si tratta di un’operazione che permette una prima parziale riqualificazione di un’area piuttosto grande, ex industriale, dove negli anni è vertiginosamente aumentato il numero di aziende che hanno chiuso. Io sono convinto che, complice l’arrivo della M1 nei paraggi, l’asse della via Isonzo nei prossimi anni non solo riprenderà vita ma sarà uno dei principali vettori di sviluppo cittadino. 
LAVORO. Il numero medio di occupati in un punto vendita LIDL è di 40 persone. Visto che sono sostanzialmente tutti uguali, immagino che sia questo il livello cui si assesterà anche il punto vendita cesanese. La domanda è provocatoria: quale attività che dovesse aprire oggi a Cesano Boscone potrebbe offrire 40 posti di lavoro? Il territorio è piccolo e, ahimé, non ha una vocazione industriale (tolte le stupende eccezioni di Zini, CTM e qualcos’altro) nè ha aree in grado di veder sorgere nuove realtà produttivo. Forse per creare lavoro nel territorio con questi numeri abbiamo l’unica possibilità delle strutture commerciali. Bagno di verità?
LA RIQUALIFICAZIONE DI VIA GRANDI. L’amministrazione comunale ha deciso di destinare parte delle entrate – per opere di valore intorno ai 700.000 euro – legate all’edilizia derivanti dall’intervento alla riqualificazione complessiva della via Grandi, viale d’accesso e di collegamento tra Milano e il nostro centro storico. La via sarà completamente rivisitata con nuove alberature – addio alle odiose noci “spacca-parabrezza” -, attraversamenti pedonali sicuri, l’inserimento di una pista ciclabile che ci proietterà sulla fermata della M1 di via Parri e nella rete di piste ciclabili che partirà, per opera del comune di Milano, dalla via Gozzoli, in direzione Baggio. 
ADDIO AL SEMAFORO. Con Milano nei mesi scorsi abbiamo condiviso di eliminare tutti i semafori sulla via Gozzoli-Isonzo. L’asse è cresciuto e, proprio in virtù dei prossimi sviluppi legati alla M1, lo si vuole dotare di intersezioni più sicure ed efficaci nello smaltire il traffico veicolare. Stando a numeri in nostro possesso, sulla via Isonzo transita ogni giorni il 25% dei veicoli che circolano sulla Vigevanese: già tanti! Grazie all’operazione LIDL e allo scomputo oneri di cui sopra, potremo sostituire l’odiato semaforo tra le vie Isonzo e Grandi con una bella rotonda e prevedere la sistemazione dei marciapiedi correlati con isole di verde che miglioreranno decisamente le condizioni ambientali del contesto. Stando a un primo riscontro, l’ipotesi di progetto individuata è molto apprezzata dai residenti. 
Alla luce di quanto esposto, perché avremmo dovuto opporci all’operazione (sempre ammesso che si sia potuto)? Cesano ne uscirà più moderna ed elegante, un po’ meno povera, meglio connessa con Milano e con i mezzi di trasporto pubblico e lancerà la riqualificazione di una zona marginale ed economicamente depressa. Infine, avremo comunque una struttura commerciale che accrescerà la possibilità di scelta dei cesanesi. Si tratta di un intervento di dimensioni abbastanza contenute, ma per darvi l’idea di cosa stiamo parlando, ci garantisce tra valore delle opere e oneri, risorse nell’ordine delle 7-8 volte le miserrime cifre che questo comune ha incassato dall’edilizia negli ultimi anni (dagli 80.000 ai 100.000 euro a fronte di comuni delle nostre dimensioni che viaggiano intorno ai 5-10 milioni all’anno). In assenza di questa proposta commerciale, non avremmo potuto prevedere queste opere a bilancio. Credo ci sia una riflessione da fare…

Votare Andrea Orlando per Salvare il Centrosinistra

Alle primarie del 30 aprile voterò per Andrea Orlando.

Mai come oggi sono convinto che il progetto del Partito Democratico sia a rischio e con esso le sorti di un centrosinistra che possa contendere il governo del Paese a destre e populismi.

E’ sotto gli occhi di tutti che il PD di oggi sia molto diverso da quanto prefigurato nel 2007 da Walter Veltroni nello storico intervento del Lingotto. E’ completamente cambiato il quadro generale. A quei tempi si consumavano gli ultimi mesi del secondo governo Prodi, caratterizzato da una maggioranza risicata e soprattutto molto divisa. Si sentiva l’esigenza, in un quadro bipolare e maggioritario, di una forza trainante, che anche qualora si fosse presentata in coalizione, sarebbe comunque stata in grado di superare il potere di veto dei piccoli partiti e di garantire governabilità all’Italia. In quest’ottica il segretario del PD era automaticamente il candidato Premier.

Era una fase in cui governabilità e sinistra sembravano due opposti. La cosiddetta vocazione maggioritaria era stata individuata come principale strumento per dare stabilità all’esecutivo. Il nuovo soggetto politico si presentava come un progetto aperto, in continua elaborazione, inclusivo, disponibile al confronto con mondi diversi, anche con ambienti non storicamente ricordati come interlocutori della sinistra. Con tutte e indistintamente. Ma-anchista e liquido, si malignò. A dieci anni di distanza è innegabile che almeno nelle prime fasi vennero colte come elementi di freschezza la frattura operata con il passato e l’introduzione delle primarie rispetto alle consumate e grigie liturgie dei vecchi partiti. Una forza, inoltre, che viveva l’Europa come la prospettiva di un grande sogno e come occasione di sviluppo e crescita.

La percezione odierna del PD è tutt’altra cosa. Siamo di fronte a un partito chiuso su se stesso, che viene visto da più parti come il simbolo della conservazione, sempre più personale e di notabili, soprattutto al Sud, svuotato della rabbia e della spinta della rottamazione. Non più un possibile per quanto vago interlocutore di tutti, ma un pezzo dell’establishment, schierato a pieno titolo nel campo dei potentati economici e delle lobby. L’Europa, che così duramente ha contribuito a metterci alla prova, non è più un sogno ma un pezzo di apparato di cui siamo sia vittime che alleati, quasi una specie di “scomodo rifugio”, un bunker, utile per scongiurare pericoli maggiori. Continua a leggere “Votare Andrea Orlando per Salvare il Centrosinistra”

Furore

Avevo voglia di leggere un romanzo, magari di un autore americano, ed ho puntato ad occhi chiusi Steinbeck. Ho chiesto consiglio su Facebook rispetto alla scelta dell’opera. Da più parti mi è stato consigliato “Furore” (titolo originale “Grapes of Wrath“).

Posso dire di essere andato a colpo sicuro, trattandosi di uno dei massimi capolavori della letteratura d’Oltreoceano. Si è già scritto e detto di tutto a riguardo e non servono certo le mie impressioni, però, mi piace lasciare traccia di cosa ha colpito me di questa lettura.

Intanto mi posso vantare – è un vezzo tutto mio – che al primo incontro con il protagonista mi sono ricordato che è legato all’emozionante ballata di Bruce Springsteen che si intitola “The Ghost of Tom Joad“: finalmente ho capito di chi è il fantasma!

Il romanzo è incentrato sul lungo viaggio della speranza della famiglia Joad alla ricerca della Terra Promessa che, stando ad alcuni volantini pubblicitari, pareva essere la California.

Come molti altri “Okie” (contadini dell’ Oklahoma), questa famiglia decide di abbandonare la propria terra nel periodo della Grande Depressione per via delle difficoltà sorte con il Dust Bowl, la tempesta di polvere causata da pratiche agronomiche sbagliate e dalla siccità, in grado di alzare enormi nuvole di terra. La vita contadina è parallelamente messa a dura prova dalla meccanizzazione dei mezzi di produzione e dalla concentrazione delle terre nelle mani di pochi, solitamente banche.

Il trattore come la banca sono visti come mostri inumani e tratteggiano forse una caratteristica universale del modello economico: non c’è un responsabile. Non ce la si può pigliare con nessuno per quanto sta avvenendo. Il trattore non è di proprietà del suo conducente, che è esso stesso dipendente di una società e la banca non appartiene a nessuno. E’ una banca. Sono soggetti de-individualizzati e qualsiasi responsabilità rispetto alle scelte prese sfuma.

“La banca è qualcosa di diverso da un essere umano. Capita che chiunque faccia parte di una banca non approvi l’operato della banca, eppure la banca lo fa lo stesso. Vi ripeto che la banca è qualcosa di più di un essere umano. È il mostro. L’hanno fatta degli uomini, questo sì, ma gli uomini non la possono tenere sotto controllo.”

Forse il punto di vista di Steinbeck rispetto ai trattori sa un po’ di luddismo e risente del peso degli anni, ma relativamente a questo processo di deindividualizzazione, mi è facile pensare a tanti fenomeni che sconvolgono l’economia di oggi: un’azienda viene acquistata da un fondo di investimento e viene fatta fallire con conseguente licenziamento del personale. La “colpa” è del fondo di investimento. E quindi di nessuno. La finanza ha accentuato ancora di più questi processi… è eterea e dematerializzata apparentemente, poi sappiamo quanto sia in grado di incidere in profondità nella carne della gente.

Sta di fatto che questi poveri contadini in miseria sono attratti a emigrare dall’inganno di volantini che promettono lavoro e prosperità nella remota California. Al termine del viaggio si trovano a popolare insieme a migliaia di altri poveri cristi le Hoverville, baraccopoli approntate alla belle-e-meglio in presenza di un corso d’acqua. Il miraggio del tanto agognato lavoro si risolve o nella prevalente disoccupazione o nell’affaticata disperazione di misere occupazioni stagionali, così sottopagate da bastare a malapena per alimentarsi.

La truffa risiede nell’evidenza che i grandi latifondi, grazie agli annunci dei volantini, sono in grado di attirare una massa di lavoratori spropositata rispetto alle reali attività da svolgere, il che li metteva nelle condizioni di avere grande disponibilità di una forza lavoro affamata e pesantemente sfruttabile.

Gli okie diventano così stranieri in patria. Il fenomeno è così massiccio da generare intolleranza da parte delle cittadine californiane che ipocritamente li respingono: da un lato sono quelli che lavorano per un tozzo di pane nelle piantagioni di pesche e cotone; dall’altro però sono anche quelli che arrivano in California a sporcare il paese e a sottrarre occupazione agli abitanti. Steinbeck descrive con maestria l’evoluzione di quel sentimento di diffidenza che porterà all’odio, anche attraverso un sistema di repressione basato su uno stretto controllo da parte degli sceriffi e delle forze di polizia in genere, che frequentemente sfociano in ronde, pestaggi, assassini e incendi di campi. Attualissimo.

Questo viaggio biblico per l’America (attraverso la mitica route 66) segna anche la fine della famiglia: i due nonni muoiono; il padre stesso si riduce a braccia dei campi a favore del ruolo della madre; la figlia viene abbandonata dal marito e partorirà un bimbo morto; uno dei due figli, Al, si perde dietro alle ragazze e il protagonista, Tom Joad, deve prima nascondersi e poi scappare per aver ucciso uno sbirro durante un pestaggio.

Ciò che distingue le alterne sfortune della famiglia Joad dalla mesta sorte, ad esempio, dei Malavoglia nostrani sono proprio il protagonista e la sorella puerpera.

Tom abbraccia una confusa ma convintamente sincera causa rivoluzionaria per essersi reso conto di provare empatia per chiunque lotti per la propria dignità. Prima di dileguarsi – e diventare il fantasma narrato da Bruce Springsteen – spiega così l’assoluta essenzialità della sua scelta alla madre:

“E così no importa. Perché io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto. Sarò in tutti i posti… dappertutto dove ti giri a guardare. Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì. Se Casy aveva ragione, be’, allora io sarò negli urli di quelli che si ribellano… e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito… be’, io sarò lì”

La sorella Rose of Sharon, dopo la fuga del marito, mette alla luce un bimbo che nasce morto durante una terribile alluvione. Poco dopo il drammatico parto, dovendo abbandonare il vagone ormai sommerso dall’acqua, incontra nell’asciutto di un fienile due poveretti. Uno dei due, il padre, sta morendo a causa della malnutrizione. Rose of Sharon, in un gesto di estrema umanità, decide quindi di allattarlo al suo seno. Una scena di un impatto sconvolgente, che richiama i simboli potenti della maternità, del latte, della rinascita. Un finale sicuramente memorabile, anche per chi come me, colpevolmente legge poco.

Riflessioni sparse sulla politica per la Casa

Senza perdermi nella querelle sugli slogan che imperversano avendo sostituito i contenuti, rifletto semplicemente sul fatto che la politica ha perso credibilità negli anni anche per aver abbandonato dei temi assolutamente centrale del suo raggio d’azione. Diversamente da alcune visioni del passato, non ho mai creduto che tutto ciò che succede e che caratterizza la complessità dei fenomeni sociali possa essere materia d’intervento di qualche istituzione.

Vi sono sfere del vivere quotidiano da cui la politica deve rimanere fuori. Altre in cui deve garantire leggi che riconoscano appieno la libertà dell’individuo.

Infine vi sono dei settori in cui poco può o proprio è impotente: in tali casi si dovrebbe fare un’operazione di comunicazione caratterizzata da una profonda onestà intellettuale in cui si spiega qual è il reale raggio d’azione. L’esempio che mi sovviene più immediato è il ruolo dei piccoli e medi comuni rispetto all’enorme questione lavorativa: un ente locale delle dimensioni di Cesano Boscone, al di là di qualche iniziativa meritoria ma confinata, non può affrontare nell’insieme un’emergenza sociale di così grande impatto. Non ha gli strumenti.

Ci sono invece altre grandi questioni che i partiti hanno abbandonato, a dispetto della centralità che rivestono nella vita delle persone. Lo hanno fatto perché sono quelli su cui spesso è più difficile elaborare delle risposte, su cui ci vuole più coraggio ed il laissez-faire è decisamente più comodo, su cui ci è più complicato insinuare delle proposte riformiste in un dibattito condotto da anni sui medesimi schieramenti ideologici (pensate all’immigrazione).

Uno dei grandi filoni abbandonati è quello della casa.

Il tema dell’abitare è estremamente complesso e si interseca con altre questioni di vitale importanza per uno stato. E’ legato infatti alle dinamiche di popolazione, al ruolo dell’edilizia nell’economia, al cocente tema – sopratutto nel Nord Italia – del consumo di suolo. Oggi soprattutto deve fare i conti con le difficoltà economiche delle famiglie, dei single (penso ai divorziati/separati che sembrano non esistere in Italia…) e dei giovani impossibilitati – con buona pace della lunga schiera dei critici dei bamboccioni, buon ultimo John Elkann – ad acquistare un appartamento e spesso anche a sostenere le spese di un affitto in una grande città.

A Cesano oggi la questione dell’abitare presenta criticità forti. Continua a leggere “Riflessioni sparse sulla politica per la Casa”